Archiviazione per tenuità del fatto: lo strumento giuridico che proscioglie ma non assolve

La vittima di un reato, dopo aver sporto querela, ha la facoltà tanto di interagire con la Procura durante lo svolgimento delle indagini, quanto di opporsi all’eventuale richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero.
Se fino a poco tempo fa il P. M. richiedeva l’archiviazione quando riteneva che l’azione penale non dovesse essere esercitata (poiché infondata o perché non identificato l’autore), nell’ultimo periodo gli è stata concessa dall’Ordinamento la possibilità di chiedere la chiusura delle indagini anche in presenza dell’effettiva consumazione del reato; ciò quando ritenga che lo stesso si configuri ma sia tenue (quindi non punibile).
L’articolo in questione è il 411, comma 1-bis del codice di procedura penale, che trova fondamento proprio nella particolare tenuità del fatto.
L’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, previsto dall’art. 131-bis c.p., è stato introdotto dall’art. 1, comma 2, d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28 e prevede l’esclusione della punibilità in presenza di un fatto che, pur essendo tipico, antigiuridico e colpevole, risulta, in concreto, privo di un disvalore significativo.
Il legislatore, in sede di adeguamento della normativa processuale, ha deciso di rendere operativa la nuova causa di non punibilità sin dalla fase delle indagini preliminari come causa di legittima rinuncia all’esercizio dell’azione penale, al fine di incidere sulla capacità di funzionamento della giustizia.
Questa procedura, che a primo acchito sembra avere un effetto liberatorio per l’inquisito, nasconde un’altra faccia della medaglia.
Infatti, in caso proscioglimento per tenuità del fatto, restano comunque in capo all’indagato le consequenziali responsabilità civili derivanti dalla consumazione del reato (conseguenze di tipo risarcitorio).
L’archiviazione per particolare tenuità del fatto, per quanto dotata di effetto liberatorio, infatti è idonea a pregiudicare la posizione della persona sottoposta alle indagini nella parte in cui preclude, o comunque incide, su una possibile seconda applicazione dell’istituto. In particolare l’effetto giuridicamente pregiudizievole è costituito dalla registrazione del precedente nel casellario per dieci anni, incidendo negativamente sulla possibilità di beneficiare in futuri procedimenti di una declaratoria di tenuità, ove l’iscrizione concorra ad integrare l’ipotesi del comportamento abituale, tipizzata dall’art. 131 bis, terzo comma, c. p..
Lo strumento che può utilizzare l’inquisito per impugnare questa istanza, è l’opposizione.
Questa procedura infatti, coinvolgendo oltre che la persona offesa anche l’indagato, obbliga il P. M. che richieda l’archiviazione sulla tenuità del fatto, ad avvisare non solo la vittima (anche se essa non abbia manifestato la volontà di essere informata circa gli esiti dell’attività investigativa), ma anche la persona sottoposta alle indagini preliminari, precisando che, nel termine di dieci giorni, entrambi possono prendere visione degli atti e presentare opposizione in cui indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta non richiedendo invece l’indicazione di ulteriori indagini.
Il giudice, se l’opposizione non è inammissibile, procede ai sensi dell’art. 409, c. 2, c.p.p. e, dopo aver sentito le parti, se accoglie la richiesta provvede con ordinanza. Qualora l’opposizione non venga presentata, o qualora questa sia inammissibile, il giudice provvede senza formalità e, se accoglie la richiesta di archiviazione pronuncia decreto motivato. Qualora, invece, il giudice non accolga la richiesta, restituisce gli atti al p.m., eventualmente provvedendo ai sensi dell’art. 409, c. 4 e 5 c. p. p..
In conclusione, quando viene notificata una richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto, colui che la riceve, se sa di essere innocente, non deve reagire con inerzia pensando che l’archiviazione equivalga all’assoluzione, ma contrastare detto assunto (errato) con un atto di opposizione dove dimostri la propria estraneità ai fatti.
Dott.ssa Emanuela Petrucci

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