Non tutte le strade possono essere sottoposte al controllo elettronico della velocità senza la contestazione immediata delle infrazioni e solo quelle rientranti in determinate categorie possono essere inserite nell’apposito elenco prefettizio che consente l’installazione di apparecchiature per il rilevamento dell’andamento dei veicoli. Ciò per permettere quel necessario «bilanciamento tra le esigenze, altrimenti incompatibili, di garantire la sicurezza nella circolazione e di non penalizzare la fluidità del movimento veicolare che si svolge sulle strade “di scorrimento”».
E, a tal proposito, queste devono avere dei requisiti minimi inderogabili: a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico, eventuale corsia riservata mezzi pubblici, banchina pavimentata a destra e marciapiede. Se non presentano queste caratteristiche, anche le multe elevate con l’autovelox devono essere annullate se su quel tratto difettano sia la banchina pavimentata a destra che il marciapiede.
Sono concetti che molti enti accertatori, ma anche a questo punto anche i Prefetti sembrano dimenticare, ed è per questo che è assai significativa, per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, la sentenza 4090/19, depositata il 12 febbraio dalla seconda sezione civile della Cassazione. Nella fattispecie, è stato accolto il ricorso di un’automobilista, destinataria di una multa rilevata da autovelox, che si era vista rigettare la propria opposizione sia dal Giudice di Pace di Prato che anche in appello dal tribunale dello stesso comune toscano perché, secondo le decisioni di merito, il viale su cui era stata rilevata l’infrazione presentava tutte le caratteristiche richieste dalla legge per essere classificato come strada urbana di scorrimento e su cui, pertanto, potevano esserci le apparecchiature di rilevamento elettronico e poteva essere effettuato l’accertamento dell’infrazioni senza l’obbligo di contestazione immediata.
Per la Suprema Corte, al contrario, è proprio questa la questione centrale che impone l’accoglimento del ricorso: «l’individuazione dei requisiti minimi che un percorso stradale deve presentare, ai fini indicati dall’articolo 4, del decreto legge 121/02 convertito dalla legge 168/02, stante il rinvio alla classificazione contenuta nel codice della strada». Ricordano gli ermellini che l’articolo 2, comma 3, lettera d) del suddetto decreto definisce la strada urbana di scorrimento come «a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico, ciascuna con almeno due corsie di marcia, una eventuale corsia riservata ai mezzi pubblici, banchina pavimentata a destra e marciapiedi, con le eventuali intersezioni a raso semaforizzate; per la sosta sono previste apposite aree o fasce laterali estranee alla carreggiata,entrambe con immissioni ed uscite concentrate».
E continua il collegio che tale dato non è disattendibile da parte del giudice nel momento in cui sostiene che «Trattandosi di interpretare una norma classificatoria – tale essendo l’art. 2, comma 3, lett. d), cod. strada – una lettura che disattendesse il dato letterale si risolverebbe in interpretatio abrogans. Per altro verso, non si ravvisano elementi di irragionevolezza nel rinvio contenuto nell’art. -4 d.l. n. 121 del 2002 alla norma classificatoria, sicché neppur e sussistono i presupposti per sollevare il dubbio di legittimità costituzionale del citato art. 4».