Dai dati dell’Osservatorio statistico dei consulenti del lavoro risulta che l’Italia non è un Paese per giovani laureati: a 30 anni 4 giovani su 10 sono senza lavoro o sottoccupati.
Lavoro e istruzione: un binomio che avrebbe dovuto funzionare. Ci avevano fatto credere che il famoso pezzo di carta potesse essere garanzia di futuro stabile, purtroppo, sembra non essere proprio così visto che nei fatti le cose vanno diversamente per una bella fetta di giovani laureati.
Nel 2017 , infatti, degli oltre 1,7 milioni di trentenni con la laurea, il 19,5% (344.000) è privo di occupazione, mentre un ulteriore 19% (circa 336.000) opera in posizioni professionali che non richiedono laurea.
Dal dossier viene fuori anche che fra i giovani laureati della Penisola c’è un 61,5%, che riesce a lavorare mettendo a frutto il titolo di studio conseguito.
Nel 2017, il tasso di occupazione dei trentenni laureati (81,3%) è superiore di 8 punti percentuali rispetto ai giovani diplomati di pari età ed arriva a 24 punti percentuali rispetto ai trentenni con la sola licenza media.
Le prospettive d’inserimento nel mercato del lavoro, attesta lo studio, “migliorano per coloro che hanno raggiunto almeno un titolo secondario superiore”, e si rivelano “massime per chi giunge a conseguire un titolo universitario”.
Il vantaggio di possedere un titolo di studio più elevato e poterlo spendere, esercitando un’attività professionale è più marcato per le donne trentenni, specie nel Mezzogiorno.
Il titolo di studio inoltre pesa anche in busta paga: la retribuzione mensile media dei laureati dipendenti, infatti, è pari a 1.632 euro, ovvero il 30% in più di un occupato con la licenza media (1.139) e del 20% di un diplomato (1.299) segnalando, però, come “un trentenne psicologo guadagni mensilmente 1.351 euro (solo 52 euro in più di un coetaneo diplomato), mentre un ingegnere (1.850), un medico (1.869) percepiscono come retribuzione oltre 550 euro in più rispetto ad un diplomato.
Alfredo Magnifico