Inizia oggi una rubrica settimanale dedicata alla cucina, ma in senso più ampio al variegato mondo che ruota intorno alla gastronomia. Di cuochi e chef per fortuna è pieno il pianeta e non passa giorno senza che vengano pubblicati libri a tema, a volte con grande successo, o proposte nuove trasmissioni televisive, con gare tra ‘dilettanti allo sbaraglio’, strigliati da maestri stellati per farli diventare dei ‘master’, tra location da sogno e sudore dietro i fornelli. Quindi sull’argomento è già stato dato e molto. Allora perché ‘Cucina e dintorni’? Vogliamo fare un discorso differente su un argomento ‘cult’: ci dedicheremo a divagazioni in tema gastronomico, soprattutto curiosità e ‘stranezze’ di varie cucine, anche estere. Una sorta di ‘filosofia della gastronomia’, senza aspirazioni ‘alte’, ma così, tanto per creare un mini circuito di appassionati. L’immagine potrebbe essere quella di un gruppo di amici che, al riparo dei fuochi di un camino, discettano di buona cucina, ristoranti, abitudini culinarie, bontà alimentare ed altro a tema. Iniziamo.
Come detto, il mondo gastronomico si divide su due categorie professionali, dietro i fornelli: cuochi e chef, che, anche se non appare, sono in continua competizione. Da una parte il sudore puro, la tecnica non sempre sopraffina, le materie prime genuine ma povere, i luoghi a volte malsani, i vapori incontrollati; dall’alta il pianeta ‘gourmet’, le sale finemente imbandite, la sperimentazione, ingredienti al top di gamma, le stelle Michelin ed una utenza che annovera il glamour, che più glamour non si può. Ognuno recita il suo ruolo: i custodi della tradizione, del ‘torcinello’, del sugo con la sugna, che ritengono che quella sia la cucina, il resto solo filosofia o spettacolo e dall’altro gli artisti dei fornelli, quelli che fanno autentici miracoli con la materia prima, la plasmano, la colorano nella maniera più imprevista, la fotografano come fosse il migliore dei quadri.
Ma non sempre i due pianeti sono distanti; accade che chef famosi vengano chiamati dai gestori di ristoranti ‘per riportare in piedi la baracca’. Il quadro finale è sempre lo stesso: l’eccellenza alla fine prevale, lo chef riporta il cuoco sulla giusta strada lo ‘alleziona’, a volte, lo striglia anche con rudezza, altre volte. E’ una lotta impari dove uno comanda e dispone e l’altro obbedisce e capisce. Si crea un sentimento anche di compassione verso il debole che non sapeva, oppure era presuntuoso e che si deve sottomettere al volere del ‘mostro sacro’, per crescere e maturare. Il finale è sempre a lieto fine, ma non risulta monotono, perché si parteggia per il potenziamento del debole, che poi avviene sempre.
Allora cuoco o chef? Vi lasciamo con questo dubbio e ne riparleremo: ma parleremo anche di molto altro, senza pretese accademiche o moraliste su un argomento che è sicuramente importante per il movimento di persone che coinvolge, per i fatturati generati e per la contaminazione con culture diverse e distanti. Direte voi se saremo riusciti nell’intento.
Stefano Manocchio