La comunicazione gastronomica imperante ha ‘invaso’ anche la nostra regione, che comunque fa parte del villaggio globale; trasmissioni di cucina anche a livello regionale appassionano il popolo degli amanti dei fornelli, alle prese con pietanze sempre più complesse, salsine multicolore, braci innovative e via dicendo. Nella nostra regione questa mentalità si scontra con la tradizione come in pochi altri posti: le mura ciclopiche dei cavatelli al sugo con la sugna, del ‘cacio e ova’ e ‘pizza e minestra’ adesso presentano crepe, rappresentate da lavorazioni gentili ma non prive di gusto, anche intenso. E’ l’eterno scontro tra tradizione e innovazione, quello che porta a pensare che al disotto dei ‘fugnatiell’ non ci sia cucina di sostanza e, dall’altra parte, che pietanze con carne, pomodori, uova e salsiccia siano retaggio del passato e con poco futuro. Le due tesi, naturalmente, sono egualmente sbagliate e solo dall’integrazione dei sapori, nel rispetto delle lavorazioni originali, si troverà la pietanza che colpisce il turista, ma anche l’appassionato di cucina e l’esperto della tradizione. Allora diciamo che la caponata, che si può fare con la fresella bagnata o con il tarallone, oltre ai pomodori e cipolla, viene servita a volte con melanzane soffritte, in alcuni casi con la mozzarella fresca e vari tipi di verdure; c’è anche una variante esclusivamente vegetariana e quella vegana pura… e caponata resta, non è altra cosa. Un secondo di salsiccia e broccoli, rigorosamente ‘piccanti’ e rosolati bene nell’olio, può vedere come condimento la cipolla e la carne marinata nell’aceto balsamico senza diventare meno rustico o poco attinente alla tradizione. Si tratta di tentare il lancio verso la qualità, senza perdere la genuinità della materia prima. Il ruolo da apripista, in Molise, l’hanno recitato le grandi cantine: la Tintilia è vino di qualità ‘alta’ e non ha nulla da invidiare a quello prodotto dal contadino, non ha certo perso gusto e sostanza nella lavorazione enologica. Adesso noi vantiamo etichette di livello nazionale (non solo Di Majo Norante, i Cipressi, Catabbo e tutte quelle a trasporto del territorio bassomolisano ma anche, ad esempio Valerio nella provincia di Isernia). Io ho assaggiato diverse varianti, tutte molisane, proprio della ‘pizza e minestra’ (più o meno brodosa, con la pizza intera di granone e sbriciolata, con e senza aglio e piccante e perfino con delle delicate salsine di condimento) e non ho trovato nessuna di questa ‘antimolisana’, perché nel gusto c’era sempre l’aroma degli ingredienti principali, che richiamavano alla nostra adolescenza. Lo chef Vizzarri, tanto per citare quello forse più famoso in loco, presenta ricette di alta cucina, con ingredienti rigorosamente locali e rispetto della tradizione, ma lavorati in maniera differente risetto a quello che facevano i nostri avi; è cucina molisana pura, anche con tutte le varianti proposte. Per migliorare bisogna avere la tradizione nel cuore e l’innovazione nel cervello.
Stefano Manocchio