di Massimo Dalla Torre
Non poteva mancare il nostro intervento su quanto sta accadendo in città, che, causa i dissesti del manto stradale, leggasi buche che non permettono alla circolazione di scorrere tranquillamente, somiglia sempre più alla torta “sbrisolona” il dolce tipico di Mantova.
Un dolce che affonda le radici nella notte dei tempi ed è rinomato per la fragranza ma anche per una caratteristica: l’estrema friabilità che lo porta a ridursi in briciole appena si tocca. Un dolce che, a fine pranzo o cena, accompagnato da un buon bicchiere di vino passito, è gradevole al palato tanto da far invidia agli altri dessert di cui la cucina italiana è ricca. Senza voler assurgere a esperti della raffinata arte dolciaria, anche perché in Italia di maestri dolciari ve ne sono molti.
Il nostro intervento, tende a porre l’accento sugli ingredienti che servono a “confezionare” o hanno confezionato, non la torta Mantovana, bensì il manto stradale cittadino. Ingredienti, sempre per rimanere nell’ambito dei fornelli, che si sfaldano, lasciando “scoperto” e facilmente aggredibile uno degli assi portanti del sistema viario. Questo, non per puntare il dito accusatorio contro chi è preposto alla manutenzione delle strade, ma per capire i mali che lo affliggono. Mali che, causano sempre più uno stato di degrado, specialmente per chi è costretto ad effettuare veri e propri slalom con il rischio di creare problemi soprattutto quando s’incrociano altri veicoli costretti o a fermarsi o a deviare su di un lato, sempre che ci sia lo spazio. Strade la cui base è costituita da ingredienti che, a quanto pare, sono “scaduti”, e non osiamo pensare che sono di seconda scelta.
Ingredienti che, sono stati ereditati, forse, da una non perfetta sinergia tra le parti di cui nostro malgrado siamo le uniche vittime. A questo punto, la logica, impone che si vada a esaminare il problema sotto tutti i suoi aspetti. Anche se di logico in questo caso non vi è nulla perché non c’è consentito andare oltre, altrimenti rischiamo di impattare contro un muro che non si scalfirà mai, visto la stratificazione con cui è stato eretto.
Cose che, se fossimo in un’aula di tribunale, sarebbero nettamente a sfavore di chi cerca ostinatamente di presentare Campobasso come un oasi in cui tutto è in ordine: insomma, un piccolo “Eldorado”. La mitica terra in cui le strade erano lastricate d’oro; in questo caso no, anche perché le favole della buona notte servono solo ed unicamente per far addormentare i bambini e non i grandi. Una situazione drammatica che ci ha portato al punto di non ritorno.
Un qualcosa, in cui l’ottimismo lascia spazio allo scetticismo e allo sconforto verso quello che si è costruito e “si è trasformato in aceto”, tanto per usare un detto popolare. Un aceto non balsamico fatto con un “fiore”, perché ci pare che si chiami così l’ingrediente con cui si confeziona il condimento principe delle insalate, che è frutto di una “cattiva fermentazione”. Un “prodotto” fatto con la consapevolezza che, forse, non serve neanche a rendere più gradevole il sapore della “cicuta”, pianta usata nell’antichità come veleno, che i Campobassani, inconsciamente assumono quotidianamente ignari di quello che può accadere o è accaduto, anche se il degrado è tangibile ed è sotto gli occhi di tutti.
Un qualcosa, insomma, che, ha portato, all’alterazione del prodotto che, è “passato”; quindi non più utilizzabile per coprire “i sapori” non sempre gradevoli.