Riceviamo e pubblichiamo
Sono nata negli anni Settanta, quando il quartiere Vazzieri era un misto di abitazioni rurali, palazzi grintosi ma non troppo e campagne. Ovunque ti girassi, all’improvviso, spazi aperti, pendii innevati per scivolare con le buste di plastica, in primavera prati per biciclettate e picnic avventurosi. Tanti bambini ovunque.
Ovviamente non c’erano scuole per poterci ospitare: mio fratello frequentava le lezioni in un locale commerciale di via Monsignor Bologna, in seguito adibito ad Enoteca, io invece a via Leopardi, dal Parrucchiere. Ancora oggi ci chiediamo a chi dei due sia andata meglio! Locali bui, non adeguati, illuminati dalla spensieratezza e dalla certezza che a breve sarebbero arrivati i nuovi edifici scolastici.
Finalmente, verso la IV o V elementare, ho raggiunto una vera scuola, a via Kennedy. Per le medie ho dovuto aspettare, l’edificio era ancora in costruzione, tutti (o quasi) siamo stati ospitati a via Leopardi. Iscritta al ginnasio, mi trasferisco a via Roma, perché l’edificio stava “affondando” … Ricordo come un senso di liberazione che, grazie all’emergenza “Titanic” le ore di grammatica greca duravano solo quarantacinque minuti!
Sono passati quasi quaranta anni.
La scuola di via Kennedy è ancora lì, triste e un po’inquietante come solo le scuole abbandonate sanno essere.
Sono passati dodici anni dal sisma di San Giuliano.
Il crollo di quella scuola ha avuto dei costi insopportabili ed è diventato, quasi come i romanzi di Primo Levi, testimone della tragedia e monito affinché quella tragedia non si ripeta. Sarebbe però potuto essere, se la nostra classe politica fosse stata all’altezza, il terminem post quem “edilizio” – rispetto immediato di tutte le norme di sicurezza in materia di edilizia scolastica – e “politico” – garantendo non un generico diritto all’istruzione, ma il diritto ad un’ istruzione in edifici sicuri, adeguati, attrezzati.
Per valutare quanto la nostra classe politica sia all’altezza del suo compito, basta considerare la attuale vicenda della scuola “Don Milani” di via Leopardi. Mia figlia Carla, fortunata a non aver dovuto passare i suoi primi anni di scuola in un’ enoteca o dal parrucchiere, è una dei seicento bambini che frequenta la mia ex scuola media. Pare l’edificio sia a rischio chiusura. Forse. I lavori di adeguamento non sono stati completati, si mormora che l’edificio sia pericoloso e le voci isolate, dopo nove mesi di attesa, stanno diventando urla di protesta. Il Sindaco non ha ancora disposto la chiusura, pare aspetti nuove perizie, noi genitori invece aspettiamo ogni giorno che l’orologio segni le 13:20 o le 13:30, per tirare un sospiro di sollievo.
Qualcuno dice che sarebbe meglio fare i minacciosi “doppi turni”, già toccati in sorte agli alunni di via Crispi e a quelli di via D’amato; ma cosa riserverà il futuro agli allievi delle scuole di Campobasso?
A mia figlia Carla, per ora, il futuro ha lasciato in eredità il nulla. Due dei tre edifici che io ho frequentato, la cui costruzione non risale al Neolitico, hanno seri problemi. So bene che le norme, e le ansie, attuali sono diverse da quelle della mia giovinezza, ma constato anche che troppo poco è stato fatto per progettare istituti dove il diritto all’istruzione andasse nella direzione di un diritto reale ed esigibile: scuole sicure, a misura di allievo…
Sto pensando seriamente di trasferire mia figlia Carla. Mi sto interessando alla scuola di Castellino sul Biferno: edificio recente, costruito con in soldi del post sisma, sicuro. Se qualcuno dei seicento della “Don Milani” fosse interessato, sappia che c’è posto, lì pare ci siano solo dieci alunni. A loro il futuro è stato assicurato. ( lettera firmata)
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