È ufficiale: alla SATI non solo guidare gli autobus è un mestiere difficile, ma anche espletare i bisogni fisiologici può diventare una
questione disciplinare! Lo ha scoperto a proprie spese una lavoratrice, colpevole di essersi fermata per un’emergenza al bar. Il
motivo? Beh, il bagno aziendale delle donne è un luogo così accogliente che potrebbe essere tranquillamente usato come set per
un film horror: privo di riscaldamento e ben nascosto dietro l’impianto di lavaggio degli autobus. Un’esperienza multisensoriale
unica, dove il brivido del freddo si mescola al rischio di una doccia indesiderata, nel caso in cui le spazzole e il getto d’acqua del
lavaggio decidano di “accogliere” l’incauto utente della toilette.
Ma torniamo alla nostra collega. Dopo aver osato utilizzare un bagno degno di questo nome, è stata immediatamente richiamata
dal presidente e responsabile del personale, che l’ha successivamente sanzionata con una multa per essersi fermata a scambiare
due parole con alcuni avventori del bar. Un reato gravissimo, evidentemente, soprattutto se commesso da una lavoratrice già
nota per un’altra colpa imperdonabile: essersi rifiutata di effettuare fermate non a norma del Codice della Strada lungo la
Bifernina. Un atteggiamento inammissibile per l’azienda, che anziché premiare chi rispetta la legge, preferisce punire con
sospensioni e provvedimenti disciplinari coloro che si ostinano a non mettere a rischio la sicurezza propria e dei passeggeri.
A rendere la vicenda ancora più paradossale, è il fatto che l’autista in questione fosse fuori servizio, in trasferimento verso il
deposito aziendale e senza passeggeri a bordo. Non si tratta, dunque, di un’interruzione del servizio pubblico, ma semplicemente
di un bisogno impellente che non poteva essere ignorato.
Non è certo il primo caso di provvedimenti discutibili presi dal presidente SATI, già noto per le sue decisioni “creative” in materia
di gestione del personale. Basti ricordare il licenziamento in tronco di Naomi Cordone, avvenuto qualche anno fa,
successivamente dichiarato illegittimo dalla giustizia, con tanto di condanna per la SATI a risarcire e riassumere la lavoratrice, che
– ironia della sorte – è anche socia dell’azienda.
Insomma, in casa SATI tira un’aria pesante (e non solo per la mancanza di riscaldamento nei bagni!). Il presidente sembra aver
deciso di mettere in riga il personale a suon di sospensioni e sanzioni, un metodo che più che dimostrare autorevolezza, sa di
insicurezza e incapacità gestionale.
Occorre poi evidenziare un problema più ampio e grave: spesso i lavoratori del trasporto pubblico si trovano a prestare servizio
in zone isolate, prive di qualsiasi struttura che permetta loro di usufruire di servizi igienici. Questo problema risulta
particolarmente penalizzante per le donne, che già devono affrontare condizioni di lavoro difficili e discriminatorie. Non
garantire ai dipendenti un accesso dignitoso ai servizi igienici non è solo una grave mancanza di rispetto, ma anche una
violazione dei più basilari diritti sul posto di lavoro.
Se il clima aziendale non fosse già abbastanza surreale, ci aspettiamo presto un nuovo regolamento interno: divieto di necessità
fisiologiche durante il turno di lavoro, salvo autorizzazione scritta e controfirmata in triplice copia dal direttore stesso. Nel
frattempo, agli autisti non resta che attrezzarsi con soluzioni alternative: forse è il caso di fornire in dotazione ufficiale un vasino
aziendale con il logo SATI.
Rimaniamo in attesa del prossimo capitolo di questa tragicommedia del trasporto pubblico molisano. Nel frattempo, suggeriamo
al presidente della SATI di rileggere il Codice della Strada… e magari anche qualche manuale sulla gestione del personale.
FAISA CISAL Emilio Santangelo – FILT-CGIL Aurelio Di Eugenio