Una domanda presentata al CAF, la verifica dei requisiti da parte dell’INPS, un messaggio dell’ufficio postale che invita a ritirare una Carta di reddito di cittadinanza.
Inizia così, circa un anno fa, la storia di Laura ( il nome è di fantasia) che ritrovandosi disoccupata e con tre figli ha richiesto ed ottenuto questo “aiutino” dello Stato, in attesa di una proposta di lavoro. “Solo tre mesi fa, a distanza di molto tempo dal ricevimento della card – racconta Laura – sono stata contattata dall’Ufficio per l’Impiego di Campobasso ed ho conosciuto il mio tutor. Una ragazza discreta e disponibile che dopo aver acquisito tutte le informazioni sulla mia situazione familiare, le attività lavorative svolte e quelle che potrei intraprendere, mi ha prospettato la possibilità o di frequentare qualche corso di formazione o di attendere eventuali proposte di lavoro. Ho dato il mio consenso per entrambe le opportunità firmando il cosiddetto patto di lavoro. Intanto ho presentato un altro ISEE (indicatore di situazione economica equivalente), poiché un anno è trascorso, ma la navigator non l’ho più risentita. E, confrontandomi con persone che si trovano nella mia stessa condizione a Campobasso, sembrerebbe che fino ad oggi nessuno abbia potuto vagliare un’offerta di lavoro o avviare un percorso di orientamento. Insomma – prosegue Laura – ho la sensazione che ci sia tanta confusione e nulla di concreto. Anche per ciò che riguarda l’uso della card ci si imbatte in non poche incongruenze. Ad esempio è consentito fare rifornimento di benzina, ma non di pagare l’Assicurazione o il bollo auto…! Dopotutto però – conclude questa mamma – mi ritengo fortunata, in quanto grazie ai regali dei nonni posso far fronte alle esigenze dei miei figli. Altrimenti sarebbe improbabile sostenere i costi di: generi alimentari, bollette, visite mediche, medicine, libri, vestiti e sport con l’esiguo budget mensile del mio reddito di cittadinanza. E poi, in verità, la dignità che conferisce il lavoro non ha pari”.
Rossella Salvatorelli