Erano gli anni sessanta e la domenica nelle case dei campobassani, quelli doc, non quelli prestati alla città perché provenienti dalle zone limitrofe, al momento di mettersi a tavola, e impiattare i bucatini conditi con il ragù di carne che aveva “ppiat” per tre o quattro ore nella terrina di creta, si accendeva la radio posta di solito nel punto più alto del frigorifero, per quelli che lo avevano. Rito che permetteva a tutta la famiglia di ascoltare nel silenzio quasi religioso un motivetto rotto solo dal rumore della forchetta che, come una ruspa scavava nel piatto di porcellana bianca. Motivetto che aveva quale refrain…potran volar sui missili…p’la maiella urrà…sigla della trasmissione che veniva irradiata dalla sede Rai di Pescara, allora eravamo ancora legati a doppio filo all’Abruzzo. Sigla di un gustoso spaccato di vita scritto da Venanzio Vegliardi che aveva tra i protagonisti la veracissima campobassana Maria Pia Sandomenico che ieri, nel silenzio e nel garbo più assoluto, ci ha lasciato per raggiungere chi con lei allietava le domeniche dei campobassani: Tonino Armagno, Benito Faraone tutti capisaldi di un qualcosa che difficilmente è possibile riscoprire nella quotidianità ma soprattutto perché è svanito per “l’imbastardimento”, scusate il termine irriguardoso, della cultura locale.
Un qualcosa che si allontana sempre più dai modi di vita e di parlato dei campobassani che preferiscono “ammischiare” il dialetto, per giunta storpiato, con parole che provengono finanche da lingue straniere. Maria Pia no, tutto questo lo aberrava, perché amava la sua terra, il suo dialetto, le sue tradizioni ma soprattutto la gente quella schietta, quella genuina che usava il vernacolo, saggezza dei popoli, quale mezzo di connessione e di comunicazione che permetteva di compenetrarsi nel modus vivendi che non esiste più. Lei no. Sempre allegra, sempre disponibile, sempre genuina. Pronta alla battuta mai sopra le righe, anche se poteva sembrare a volte esagerata, lo faceva con la schiettezza di chi sapeva fin dove poteva spingersi. Personalmente l’ho conosciuta tantissimi anni fa in casa della sorella di mio nonno, anche perché ci legava un sottile ramo di parentela, e fin da quei primi momenti si è istaurato un rapporto di simpatia e successivamente di stima, perché appartenenti allo stesso mondo quello della radiofonia. Era impossibile non essere attratti dal suo modo di fare, di parlare, di porgersi; era, anzi è unica. Ora che si fermata dal leggere i testi di Turillo Tucci, sommo maestro vernacoliere, a dir la verità, di questo sono rimasto perplesso, perché nessuno, specialmente sui social network ad eccezione di pochissimi l’ha ricordata, di lei rimane un qualcosa che difficilmente può essere cancellato, che ne ha ingigantito la figura, tanto da non temere alcun confronto con chi falsamente si dice erede di quello che Maria Pia aveva nel DNA “la campobassanità”. Aggettivo che pochi, pochissimi, possono fregiarsi di avere perché, essere campobassani, significa amare quello che questa realtà è, senza se e senza ma; e questo Maria Pia lo faceva senza alcun timore o alcuna paura perché sapeva che Campobasso e le sue tradizioni l’avrebbero protetta dai cloni che spersonalizzano costantemente la ex città giardino che lei ha tanto amato. Ora però silenzio si va in onda…sigla!!!
Massimo Dalla Torre