Correva l’anno 1944, esattamente il 15 maggio, quando il “Times” pubblicava questa notizia: “Sui monti tra Venafro e Alfedena forze francesi e americane hanno sloggiato il nemico dalle proprie posizioni avanzando in diversi punti per una profondità di circa tre chilometri. Nella parte nord del fronte della 5a Armata, truppe francesi, proseguendo gli attacchi in zona montana, hanno occupato altre tre cime. A nord della strada di montagna tra Colli al Volturno e Atina che corre parallela alla Casilina, conquistano le pendici orientali del rilievo montuoso di San Pietro”.
Inutile dire che nei diversi attacchi caddero dei giovani soldati. L’elaborazione culturale della morte, in ogni società, stabilisce legami di continuità e di discontinuità tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, sia a livello spaziale che temporale. Il cimitero francese di Venafro rappresenta uno splendido esempio di forma di cimitero giardino. Questa forma particolare di cimitero nasce in Europa nel XIX secolo, esattamente nel 1878 ad Amburgo. La morte veniva vista diversamente come un riposo tranquillo dentro la cornice e la pace della natura. In Germania, durante la Repubblica di Weimar, quando si pensò ad un monumento per i caduti nazionali, si arrivò alla progettazione del bosco degli eroi.
La proposta risale al 1919 e venne approvata dal ministro degli interni l’anno seguente. Il feldmaresciallo von Hindenburg esaltò il progetto affermando: “albero tedesco, nodoso e delle solide radici, simboleggiante la forza dell’individuo e della comunità”. La natura stessa doveva servire da monumento vivente come ricorda lo storico George L. Mosse. A Monaco, già nel 1907, non furono piantati alberi né fu modellato un parco: fu semplicemente conservato il bosco dove, dai sentieri della foresta, non si vede alcun sepolcro, ma soltanto alberi che celano le tombe. Il potere rigenerante della natura e l’immagine della morte come sonno eterno. Il cimitero francese di Venafro è stato costruito tra il settembre del 1945 e il dicembre del 1946 dal Genie Militaire Francais.
La prima parte contiene le tombe dei militari francesi ed è posta davanti all’ingresso, attorno alla Cappella che contiene la storia delle battaglie dell’esercito francese. La seconda parte del cimitero si sviluppa intorno al Minareto e contiene le tombe delle truppe marocchine e tunisine che hanno combattuto all’interno del contingente francese. In questo caso le tombe sono segnate con lapidi tondeggianti rivolte alla Mecca, come vuole la religione islamica. Tra le lapidi si vedono bene quelle dei goumiers, soldati che indossavano il caratteristico burnus arabo, un’ampia tunica di lana a bande verticali sormontata da un cappuccio che nel Rif marocchino veniva chiamata djellaba ed ai piedi calzavano i nails, dei sandali con suola di corda che passa tra le dita del piede. Erano dotati di mitragliatore Thomson calibro 45 e mitragliatrice Browning calibro 12,7. I goumiers si caratterizzarono per le violenze perpetrate ai danni della popolazione civile, conseguenziali alle famigerate 50 ore di libertà.
“Oltre quei monti, oltre quei nemici che stanotte ucciderete, c’è una terra larga e ricca di donne, di vino, di case. Se voi riuscirete a passare oltre quella linea senza lasciare vivo un solo nemico, il vostro generale vi promette, vi giura, vi proclama che quelle donne, quelle case, quel vino, tutto quello che troverete sarà vostro, a vostro piacimento e volontà. Per cinquanta ore. E potrete avere tutto, fare tutto, prendere tutto, distruggere e portare via, se avrete vinto, se ve lo sarete meritato. Il vostro generale manterrà la promessa, se voi obbedirete per l’ultima volta fino alla vittoria!”. La terza parte, in fondo al cimitero, contiene i militari appartenenti ad altre religioni, quelli di religione ebraica e quelli di religione animista. Insomma un mix di religioni che convivono in luogo che rappresenta un vero prodotto storico, affettivo e sensoriale. In diversi archivi sono conservati documenti relativi ai danni causati dalle truppe “di colore francese”.
Danni soprattutto legati all’integrità fisica e morale dell’essere umano. Molte donne durante le operazione belliche vennero stuprate e sottoposte a diverse nefandezze. Nel 1943 quello che rimaneva dell’esercito francese aveva invaso l’Italia. Secondo Ruth Seifert, professore di Sociologia presso la Fachhoschule di Regensburg in Germania, il corpo della donna veniva visto allora, ma anche in alcuni conflitti odierni (vedi guerre in Africa), come il corpo della nazione che in guerra viene violato dai soldati nemici. Lo stupro della donna visto come qualcosa in grado di cancellare a livello simbolico il linguaggio e la cultura della vittima.
Roberto Colella