di Massimo Dalla Torre
Presepe = Natale - Presepe = Tradizione – Presepe = Credo. Queste, potrebbero essere le tre uguaglianze che, se potessimo, le inseriremo nel formulario di un libro di Matematica. Materia che ha poca attinenza con quello che è il simbolo del Natale, che ogni anno che passa, cede sempre di più il passo all’albero più sbrigativo da allestire e alcune volte poco ingombrante, tant’è che è possibile acquistarne anche in formato bonsai simbolo di una cultura lontana dalla nostra migliaia di km che il Natale e i presepi li conosce unicamente attraverso le foto ricordo dei turisti dagli occhi a mandorla che affollano le stradine dei borghi e dei centri in cui il villaggio in cartapesta o di altri materiali occupa il posto d’onore.
Uno spaccato di vita che ci riporta indietro nei secoli ma soprattutto nella storia del mondo. Un qualcosa che personifica appieno la Meridionalità ingigantendone il significato. Un qualcosa che induce anche i più distratti ad assimilare l’atmosfera che si respira quando si passa davanti ad uno spaccato di vita in miniatura. Un’atmosfera talmente forte che surclassa le discrasie che, oggi dove l’imperat è il mordi e fuggi, allontana quelli che sono i valori del villaggio di Betlemme.
Un simbolo che si rinnova puntualmente a dimostrazione che quello che avvenne nella notte di circa 2000 anni fa è vivo ed è difficile da cancellare, anche perché cancellarlo significherebbe disconoscere, la propria fede, la propria esistenza. Ecco perché i materiali utilizzati per realizzare il presepe che, non hanno alcuna attinenza con la venuta al mondo del divin fanciullo, si trasformano, si plasmano, si animano e prendono corpo anche nella forma più inusitata.
A dargli forza Giovanni Teberino che, anche quest’anno, ha allestito presso il museo dei misteri la mostra dei presepi. Uno spaccato di fede che questi piccoli capolavori sono. Uno spaccato della genialità e dalla sensibilità che testimonia che dietro il silenzio, l’ironia, la timidezza e la riservatezza si nasconde il credo, quello vero, quello più recondito, quello con la “C” maiuscola non quello di circostanza. Un qualcosa, che ti prende a tal punto e che induce a fermarti a guardare e a meditare sul significato vero del presepe.
Il quale, pervade l’ambiente dominato dai misteri del Di Zinno, di misticismo che esalta il simbolismo che è li ad attenderci. Simboli che fanno si che la tradizione non muore, anzi si rafforza e s’ingigantisce perché, se morisse, si spegnerebbero le speranze del mondo che ieri come oggi guarda alla cometa, non come un presagio di sciagure, ma la luce della vita che ammonisce anche chi considera il Natale un semplice numero rosso sul calendario gregoriano.