Molise ci sei ancora? Pensiamoci, e poi rimbocchiamoci tutti le maniche

Riceviamo e pubblichiamo la nota di una nostra lettrice

Ho letto che il Molise avrebbe perso, nel solo 2017, circa duemila abitanti. Non so se, a parte i censimenti di tutta la popolazione italiana (l’ultimo è stato del 2011), ci siano strumenti di monitoraggio periodici che consentano di misurare i flussi di persone su base annuale. Ritenendo affidabile la suddetta stima, c’è molto di cui preoccuparsi, ma c’è anche da superare la fase del piagnisteo per andare a monte del problema e da lì partire per trovare soluzioni efficaci.
Nel 1951 la nostra regione contava 406.000 abitanti e rotti. A partire dagli anni Sessanta è cominciata la fuoriuscita di gente di tutte le età verso il Nord Italia, gli Stati Uniti, alcuni Paesi del Nord Europa e del Sud America.
Poi è venuta la tanto agognata istituzione della regione: siamo nel 1963. L’evento avrebbe dovuto, nelle aspettative di tanti, frenare l’emorragia e creare quei presupposti socio-economici che avrebbero spinto le persone a rimanere nella loro terra ed a condurre una vita dignitosa. Tutto questo non è avvenuto, ed anzi, nel corso degli anni successivi si sono persi sempre più abitanti.
Viene da pensare che quelle condizioni socio-economiche di cui si parlava prima non siano state create. Viene anche da pensare che, nel frattempo, è stata istituita una pletora di uffici pubblici che hanno sottratto valide braccia all’agricoltura, operai e menti alla piccola industria, operatori culturali nei vari siti di rilevanza turistica. In una parola: si è snaturata la regione, ed eccola perdere progressivamente i suoi residenti, spesso gente molto capace stando ai racconti che si sentono sulle performance di nostri corregionali fuori confine.
Nel tempo, purtroppo, il cambiamento degli stili di vita causato da condizioni di benessere più diffuse e da tanta tecnologia hanno reso più introverse le persone, più portate a curare la propria sfera personale ignorando quella altrui, più slegate dal concetto di comunità. Insomma, la nonnina che se ti vede passare in paese, ti saluta e si ferma a chiacchierare, magari facendoti entrare in casa, sta diventando progressivamente una chimera. Questo aspetto non è da sottovalutare, perché è nei momenti di difficoltà che le persone possono dare il meglio di sé unendosi e lottando per un obiettivo comune. Unirsi significa fare impresa, lottare perché si emanino leggi che valorizzino l’agricoltura ed il turismo, alzare la voce, insieme quando ci sono delle inadempienze. Non dimentichiamoci che l’Emilia-Romagna, sconvolta dal terremoto del 2012, si è risollevata perché la gente ha lavorato senza riserve dopo l’evento, incurante del fatto che lo Stato li aiutasse o meno, e ora i colossi del biomedicale che sembravano destinati all’estinzione hanno riacquistato il ruolo di primo piano di un tempo perché gli emiliani hanno lavorato nei container per mesi!
Questo deve essere lo spirito che deve animare noi molisani, tanto a livello privato quanto istituzionale, altrimenti il riscatto sarà soltanto un miraggio.
Pensiamoci, e poi rimbocchiamoci tutti le maniche.

Maria Rita Belloi

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