Essere in grado di affrontare una maxi-emergenza diventa una prerogativa di primo ordine nell’era dei terremoti, delle bombe d’acqua, delle inondazioni, delle manifestazioni di piazza. Eventi che sono sotto i nostri occhi quasi quotidianamente. Eppure la Regione Molise, nonostante abbia firmato già nel 2014 un protocollo d’intesa con il CEMEC (Agenzia europea per la medicina delle catastrofi), diramazione del Consiglio europeo, a tutt’oggi si ritrova a muovere solo i primi passi indicati nel programma. Quest’ultimo consiste in un progetto pilota che dovrebbe consentire al Molise di diventare un centro di riferimento, europeo ed internazionale, in fatto di formazione integrata territoriale. A tal fine l’idea di svolgere dei corsi a vari livelli, affinché tutte le risorse umane coinvolte a vario titolo in una situazione di massima emergenza, siano in grado di collaborare e dare risposte coordinate in tempi stretti. Tre i settori professionali chiamati in causa: sanitario, per gli operatori del 118 e il personale medico; operativo, per i funzionari regionali di protezione civile ed i responsabili delle organizzazioni di volontariato; amministrativo, per coinvolgere, in collaborazione con l’ANCI, i sindaci e i tecnici dei comuni. Promotore del progetto, il dottor Enrico Bernini Carri, vicepresidente del CEMEC, nato a Campobasso, Generale medico dell’esercito e docente universitario di medicina delle maxi emergenze. Ha lasciato la terra d’origine da molti anni, ma torna volentieri per dare una buona opportunità al Molise.
Il 13 e 14 marzo ha incontrato in via Genova, il personale amministrativo di alcuni comuni per fornire loro strategie di intervento e inscenare simulazioni attinenti al territorio molisano. “Vorrei mettere a disposizione la mia esperienza e le mie competenze – ha detto – per dare visibilità a questa regione che, peraltro, può contare su un volontariato strepitoso, con grandi potenzialità. Anche se dovrebbe diversificare le specializzazioni. Purtroppo il progetto “maxi emergenze” procede a rilento, in quanto manca un soggetto propulsore. Per arrivare in Europa occorrono 30/40 corsi, sarebbero bastati due anni, invece, non siamo neanche a metà del cammino. Ma io proseguirò con impegno finché posso”.
Rossella Salvatorelli