di Massimo Dalla Torre
“udite, udite, udite messeri, nobili, dame e cavalieri…” questo è l’annuncio mattutino del banditore che, scortato da armigeri al suono di tamburi e squilli di buccine ha preceduto il corteo della rievocazione storica della pace tra Trinitari e Crociati che, in serata, nella suggestiva cornice di piazza san Leonardo, ha fatto rivivere ai Campobassani e non solo uno spaccato di storia locale. Vicenda che ha messo nuovamente di fronte le due fazioni cittadine che per secoli insanguinarono le strade della Campobasso del 1500.
Una vicenda che oggi, in cui le dispute non si risolvono più a colpi di pugnale o di spada, può sembrare fuori del tempo, senza sapere che i mezzi utilizzati dagli attuali contendenti sono molti più letali. Una vicenda che riporta la nostra città indietro nel tempo quando, all’ombra
del castello Monforte, le due confraternite, i trinitari e i crociati, si contendevano il territorio e l’egemonia sulla città, finanche con esiti nefasti, disseminando le strade e le piazze racchiuse nelle sei porte impresse sullo stemma cittadino di vittime spesso innocenti.
Di lustri ne sono passati e Campobasso o Campibassi ha cambiato decisamente aspetto e della pace e dei luoghi in cui avvenne non rimane molto, anzi poco, (secondo le cronache del tempo la pace avvenne nello spazio occupato tra Fondaco della Farina e largo San Leonardo) e immortalata su una tela che campeggia all’interno di una delle sale di Palazzo Magno sede dell’Amministrazione Provinciale di Campobasso, ma anche in un affresco del maestro Romeno Musa facente parte del ciclo pittorico che impreziosisce la sala del pubblico della Banca d’Italia, unico esempio di stile liberty presente in città; eppure guardare sfilare dame, armigeri, notabili, cavalieri in cui il popolo vero e proprio protagonista si dileggia con risa e sberleffi oltre che riascoltare le parole di pace proferite da fra Girolamo da Sorbo, l’uomo che riappacificò con 50 matrimoni fra giovani delle fazioni avverse i bollenti spiriti dei nostri antenati, è stato un momento emozionante.
Il quale ha richiamato alla mente anche la sfortunata e tragica vicenda di Delicata Civerra e Fonzo Mastrangiolo i Giulietta e Romeo locali. Un qual cosa in cui la ragione prevalse sulla forza e sulle questioni di casato come si sarebbe detto all’epoca. Una rivisitazione che ha attratto e che ha visto, come del resto accade sempre in questi casi, la folla delle grandi occasioni occupare i posti delle gradinate montate a ridosso di palazzo Cannavina per assistere allo svolgimento delle vicende, impreziosite da giochi di fuoco e volteggi di bandiere il tutto al suono di musiche cinquecentesche. Un avvenimento che, unitamente ai misteri del Di Zinno, è un segno che contraddistingue l’appartenenza a Campobasso.
Il quale, al di là del suo significato toponomastico, tiene vivo il ricordo che molti vorrebbero cancellare, perché a loro giudizio anacronistico, senza sapere che più si cerca di sopprimerlo più è presente anche se sono passati oltre 500 anni. Un ricordo in cui lo spirito battagliero dei Campobassani è sempre pronto a sortire ogni qual volta qualcuno cerca di minarne le radici.