di Massimo Dalla Torre
Gli appuntamenti che caratterizzano la settimana santa in Molise sono numerosi e disseminati lungo tutto il territorio regionale. Primo fra tutti la commovente processione del venerdì santo di Campobasso, che ogni anno, raduna ai bordi delle strade moltissime persone tanto da essere uno degli eventi più attesi anche da chi non è devoto. Si tratta di un rituale religioso che affonda le radici nel lontano 1626, quando Campobasso era racchiusa nelle sei porte che si possono vedere impresse nel gonfalone cittadino.
Ora che il capoluogo di regione si è espanso la processione attraversa non solo le strade del centro storico ma anche le zone più moderne, lungo le quali, fedeli e non, si allineano in silenzio in attesa dell’evento, raggruppandosi finanche sui balconi. Processione che non presenta elementi rituali particolari, come quelli che caratterizzano altre città italiane ma anche europee specialmente quelle spagnole, anche se il rito riesce a commuovere e coinvolgere puntualmente tutta la popolazione grazie soprattutto al coro costituito da oltre 700 persone.
In origine erano solo un centinaio, tra cantori e musicisti, mentre oggi il numero è salito notevolmente tanto da essere diviso in due parti, anche se materialmente è unico quello delle voci maschili e quello delle voci femminili. Il tutto inizia dopo il raduno in piazzetta Palombo, luogo nel quale si fanno le ultime prove prima di dare avvio al percorso che parte dalla chiesa di Santa Maria della Croce dove il corteo si incammina trasportando la statua del Cristo morto, seguita da quella dell’Addolorata, dal cui manto partono lunghi nastri sorretti da un gruppo di donne vestite di nero e il brivido che si avverte quando si inizia a sentire l’avvicinarsi del potente coro in lontananza, è ancora una volta indescrivibile.
Le voci che si insinuano tra le strade sulle note del “teco vorrei, oh signore” del Metastasio e le struggenti melodie del maestro Michele de Nigris coinvolgono l’intera comunità. Si tratta di un’atmosfera particolare che è difficile da spiegare attraverso un articolo, perché è un evento imperdibile che raduna la popolazione desiderosa di unirsi al Signore nel momento della passione e di assistere a uno dei riti più antichi e coinvolgenti del Molise. Corteo che ripercorre la via del Golgota, in attesa della rinascita del Salvatore del mondo.
In questo modo la Chiesa vuole affermare la drammaticità che trova il momento più alto proprio nella Resurrezione, tant’è che l’inno riesce a paralizzare, scuotendo gli animi e i sentimenti più nobili e sublimi. Il coro inizia con due battute forti e solenni, come annuncio del grande evento: il trionfo del Cristo attraverso il mistero della Croce, per riprendere ed esplodere in forma struggente tanto da indurre chi ascolta a una profonda meditazione sul sacrificio del figlio dell’uomo.
All’intonazione “non abbia da smarrire” la musica riprende con forza tramite un appello che riapre il cuore alla speranza ma soprattutto perché la morte, non è morte ma è vita per ciascuno. Ecco perché si evidenzia l’ansia dell’uomo di volersi unire al Cristo nel momento del trapasso, quasi a rivivere, con dolente voce, le pene di chi, con il sacrificio, ha redento l’intera collettività cristiana, in un cammino mesto, denso di significato che è uno di quei pochi esempi di sacralità. Parola che, ai giorni nostri, è scomparsa dal vocabolario in cui compaiono solo ed unicamente vacuità, futilità, stoltezza ma soprattutto arrivismo inutile e sfrenato.