di Massimo Dalla Torre
Un qualcosa che un tempo faceva si che se qualcosa non quadrava subito si ricorreva ai ripari senza che alcuno ne pagasse le conseguenze. Oggi, invece, l’incongruenza e il menefreghismo spaziano a tutto tondo, tant’è che chi può ne approfitta a piene mani calpestando chi dignitosamente cerca di perseguire l’obiettivo che si è preposto o che gli è stato assegnato. Condizione che, purtroppo per i tempi che corrono, è impensabile perché il caos e la confusione sono predominanti tant’è che sono vissuti all’impronta dell’arroganza.
Malessere di chi ne risente ed è postato sui network che, se pur criticati, ti permette di esternare i pensieri e il disagio senza che nessuno lo impedisce con il “non puoi” oppure “attento perché se lo fai, paghi le conseguenze”. Frasi che, per vigliaccheria, ti sono dette nell’anonimato di telefonate notturne o lettere scritte con i ritagli dei giornali, per giunta sgrammaticati. Strumenti di una bassezza inaudita che non meritano alcun commento se non uno: chi li mette in atto è “stupido”. Stupidità, per non usare altri aggettivi, che è figlia degenere di un modo di vita che è sempre più imperante.
Violenze verbali e materiali, perché accade anche questo, che, non possono essere accettate, da chi cerca di dare contezza al proprio operato. “Strumenti” ai danni di chi subisce questa condizione, che è messa da parte, accantonato, emarginato, segnato all’indice e deriso, il che lascia con l’amaro in bocca. Non accettabilità dello stato dei fatti, che è talmente palese che non importa a nessuno, lo stato di disagio che si vive, perché è meglio chiudersi a riccio che manifestare il “non senso”.
Un chiudersi tra quattro mura dell’assurdo e della convenienza che fa si che i vettori dell’attuale sono ipocrisia e falsità. Parole che danno il senso del vuoto che domina e che difficilmente sarà colmato. Un vuoto che fortunatamente prima o poi avrà fine. Un termine che arriva per tutti anche per quelli che fanno dell’arrivismo e della prevaricazione “il modus vivendi”.
Un vuoto che inesorabilmente si palesa con un applauso, un brindisi di chi è pronto a occupare il tuo posto e che subito dopo non ti riconosce più, anzi manifesta il proprio fastidio di averti incontrato e che ti dice “beato te che sei fuori goditi i frutti” anche se questi sono immangiabili perché maturati all’insegna dalla parola fallimento scritta con la “F” maiuscola.