di Massimo Dalla Torre
C’era una volta Campobasso città giardino. Così potrebbe iniziare una bella favola urbana,
peccato però che oggi il capoluogo di regione si è trasformato in un qualcosa indefinito:
continui esperimenti sulla viabilità, terminal degli autobus in cerca ci identità sopraelevate
che somigliano alle incompiute, tangenziali in attesa di completamento, senza parlare dei
problemi che si registrano nei quartieri periferici e non divenuti veri e propri dormitori,
nonostante si cerchi di mantenere inalterata la struttura abitativa. Luoghi spesso ostaggio
di personaggi poco raccomandabili la cui unica occupazione è delinquere cui si devono
aggiungere altre distonie, causate purtroppo dal continuo cambio della guardia nei palazzi
della politica. Tutte cose che danno corpo alle affermazioni del grande Gino Bartali: gli è
tutto sbagliato, gli è tutto da rifare. Insomma regno della confusione senza fine. A
testimoniare la novella negativa sotto tutti i punti vista finanche la deturpazione dei muri
cittadini con tanto di scritte e disegni a volte volgari che spesso sono postati sui social
network. Una situazione che lascia senza parole ed esterrefatti, dove finisce la dignità di
una comunità come Campobasso in cui si evidenza la disperazione di chi tramite
esternazioni poco prosaiche sono la personificazione di una società non civile. Ecco che la
ex città giardino nonostante sia a dimensione d’uomo da tempo ha preso le sembianze e
le movenze delle grandi metropoli con una variante la negatività in senso assoluto. Il che
annienta non solo il senso civico e la fiducia nelle istituzioni che, oggi più che mai, pur non
ignorando il problema, ancora una volta siamo costretti a leggere inermi la fine della favola
cui fa seguito un appello affinché’ la questione si risolva. Un qualcosa che per una
comunità come quella locale è assolutamente inaccettabile. Specialmente alla luce di
quello che è stato e complica ancora di più la vita di Campobasso che, difficilmente potrà
riappropriarsi di quelle che sono le caratteristiche peculiari legate soprattutto alle tradizioni
che non sono più la carta d’identità di tutto rispetto di quello che era il capoluogo di
regione non città punitiva unitamente alla Sardegna o alla Basilicata, ma un luogo dove
poter godere della semplicità che era palese sotto tutti i punti di vista.
L’intervento/Che brutta fine ha fatto Campobasso
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