Riceviamo e pubblichiamo la nota di un nostro lettore, in merito alla situazione di alcuni edifici ed in generale sulla condizione di vivibilità della Città di campobasso
Non di rado passo davanti all’ex scuola elementare di via Kennedy e tutte le volte, puntualmente, mi assale un magone al pensiero di ciò che quell’edificio ha rappresentato per i nostri figli, i figli dei nostri figli, e tante generazioni che si sono susseguite dal 1982, anno della sua inaugurazione. Destino inaccettabile? Prova dell’inconcludenza amministrativa, che decide di chiudere un edificio per rispondere ad un concetto, più o meno fondato, di scuola sicura, senza però fornire un’alternativa? Faccia lei, il magone rimane, così come rimane quando passo davanti alla biblioteca “Albino”, alla sala slot che fa angolo tra Piazza Prefettura e via Ferrari, al mercato coperto, alla piscina comunale, all’ex teatro Ariston, a villetta Flora, all’ex ITS Pertini il cui posto sarà preso dall’ennesima, inutile colata di cemento trasformata in palazzo, all’enorme spazio inutilizzato di via IV Novembre, all’ex Roxy Hotel, al numero esagerato di locali di ristorazione che si susseguono vorticosamente in vari punti della città, che aprono, chiudono per poi riaprire, in un’ottica davvero asfittica dal punto di vista di crescita e sviluppo della città.
Mi ha molto colpito l’affermazione fatta da un lettore in altra sede, che si è chiesto “perché è così facile organizzare eventi per chi ha voglia di dimostrare la propria diversità e risulta invece impossibile tutelare dall’abbandono e dal degrado luoghi in cui sarebbe normale sentire il dolce frastuono dei bambini che giocano in una afosa e normalissima domenica d’estate”. Il lettore si riferiva a Villa De Capoa, altro emblema del degrado cittadino, con siepi di mortella ormai morenti, quando questa qualità arborea resiste egregiamente nel resto d’Italia.
Indipendentemente dal fatto che un evento possa o meno portare beneficio alla città, essere realmente sinonimo di progresso piuttosto che fatto modaiolo, quell’evento viene avallato in quattro e quattr’otto. Poi, se il verde pubblico va a farsi benedire, se si piantano alberi in piena estate senza per nulla innaffiarli, se si inciampa sui marciapiedi sconnessi, se non si ha il diritto di sedersi su una panchina perché tutte sono vandalizzate, se non si può attraversare in tranquillità sulle strisce pedonali, se bisogna mettersi la maschera antigas per stare sotto una pensilina dell’autobus, se si ha l’impressione di trovarsi in Siria quando si passeggia per viale Elena, se non si può andare a leggere un libro in santa pace in un luogo dove si respiri cultura, chi se ne importa. Tutto ciò che serve alla città perché possa definirsi tale può aspettare. Così come possono aspettare la funzionalità delle telecamere di videosorveglianza e le punizioni per i vandali che pensano di mettere in scacco il capoluogo con le loro gesta insulse.
Consapevoli che tanto da noi “se volemo tutti bene”, continuano indisturbati: oggi qua, domani là, nell’incomprensibile ed imperdonabile buonismo generale. Basti pensare che un noto imbrattatore seriale del capoluogo, la cui firma si può vedere su tanti edifici e saracinesche, ora vede il mondo a scacchi non perché ha violato l’art. 639 del codice penale, ossia quello sul deturpamento ed imbrattamento dei beni pubblici, ma perché ha commesso un furto in un Paese dell’Est Europa!
Che cosa si può intravvedere all’orizzonte se si continua di questo passo? Un inesorabile declino, acuito dalla politica del “car park”, come amo definirla io, ossia dall’utilizzo della città come mera area di sosta fino alla maggiore età, per poi spiccare il volo verso altri lidi, alla ricerca di prospettive socio-economiche migliori. Quanti di quelli che conosciamo vivono in questa dimensione? Loro o i loro figli?
Quando si tocca il fondo, o vi si rimane ben ancorati senza prospettiva di riscatto, o si comincia piano piano a risalire la china. Tertium non datur.
Piercamillo Troletti
Lettera al Direttore/Tutto ciò che serve alla città perché possa definirsi tale può aspettare?
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