Gentile direttore, la nostra Cattedrale continua a rimanere chiusa. Nell’abbandono e nella sciatteria generale che contraddistinguono tutta l’area in cui sorge, questa chiusura fa da punta di un iceberg.
O, se vuole, da punta di diamante, essendo un edificio il cui valore spirituale, storico, culturale, aggregativo e quindi identitario e’ indubbio. Io non ci vedo soltanto un’interruzione dovuta a lavori indispensabili, ma anche un segno di quell’affievolimento di certi valori e sentimenti identitari che, inspiegabilmente, Campobasso sta sperimentando.
La memoria corta non aiuta mai a capire i problemi -e quindi a risolverli-, dunque giova ricordare che, in tempi difficili, ciò che ha tenuto in piedi le comunità è stato lo spirito identitario che fa scattare quel sano orgoglio il quale ti permette di risollevarti. Penso, ad esempio, ai londinesi riunitisi nei cunicoli della “tube” durante i bombardamenti nazisti e allo spirito che li ha animati per resistere.
Campobasso si sta sfaldando sotto molti punti di vista, quindi anche se il nostro bel duomo verrà riaperto, non potrà né dovrà essere quell’edificio asettico che apre e chiude come un ufficio, riduce all’osso le sue attività ed il numero delle celebrazioni, perde il suo ruolo di simbolo di una città. Da educatore parrocchiale, mi sento fortemente di consigliare a chi ha in gestione la chiesa e alla curia intera di ripensarne l’organizzazione, di trasformarla in una palestra di crescita spirituale, morale, culturale per giovani e meno giovani, di renderla di nuovo faro che illumina.
Fu fatto, a suo tempo, il grande errore di togliere i seminari da Termoli e da Larino -tanto è vero che se ne sta ridiscutendo il ripristino-, si cerchi di rendere meno arido un contesto che non ha ormai più nulla da dire se non in termini di episodi di microcriminalità, spaccio, coma etilico, degrado morale, impunità.
“Ogni giorno quello che scegli, che fai e che pensi è quello che diventi”, diceva il buon Socrate: cerchiamo di scegliere, fare e pensare nel modo giusto se vogliamo diventare una città con i suoi punti fermi -e le cattedrali sono tra questi- e che riesce a scrollarsi di dosso la cappa soffocante del modernismo che ha in odio l’uomo, che la sta facendo inviluppare sempre più in se stessa rendendola un insignificante ologramma. Riflettiamoci seriamente, se ci vogliamo un po’ bene.
Cordiali saluti, Davide de Castris