di Massimo Dalla Torre
Non è vero che la curiosità è donna, anzi tutto il contrario, è una prerogativa degli uomini che pur di sapere i fatti fanno finta di disinteressarsi di tutto e di tutti e poi al momento opportuno s’ informiamo con tutte le dovizie dei particolari cui si riferiscono gli avvenimenti. Curiosità che, secondo i canoni classici è il requisito principale di chi svolge il lavoro di cronista tanto per intenderci.
Grazie alla curiosità di chi si occupa di cultura, quella vera, e non quella che viene propinata alla maniera spicciola, ci siamo recati al museo dei misteri. Un luogo dove la “Campobassanità” viene fuori prepotentemente e dove quello che da molti viene schivato, perché, purtroppo da noi si fa la coda per entrare nel “parterre” dei cosiddetti “perbenisti ben pensanti” cioè quelli che si gonfiano con i paroloni e che all’atto pratico sono i primi “ignoranti”, è talmente palpabile tanto da rimanere addosso anche dopo averlo visitato.
Un luogo che grazie alla passione di pochi, anzi pochissimi, custodi di cultura che guarda con regalità inusuale. Una regalità che giunge dal lontano 1700 quando gli “ingegni” nati dalla maestria di Paolo Saverio di Zinno, sfilarono portati a spalla lungo le vie della Campobasso settecentesca racchiusa nelle sei porte che campeggiano sul gonfalone cittadino. Tredici capolavori, anche se in origine erano ventiquattro, che, nella semplicità più disarmante guardano nel silenzio più assordante tanto da incutere rispetto quando li si osserva.
Tredici simboli di un qualcosa di cui la nostra realtà dovrebbe andare fiera. Tredici passi in un mondo che da sempre rappresenta il cuore pulsante dell’evento chiamato “Corpus Domini”. Un qualcosa che si palesa in tutta la sua solennità guardando le strutture allineate, in cui sporadici oggetti della vita quotidiana sono poggiati a richiamare l’attenzione di chi cerca di carpirne l’animus che, molti vorrebbero chiudere e non permettere più di esprimersi. Un animus che aleggia in tutto quello che i misteri rappresentano. Un animus che come un fluido entra dentro e lascia il segno.
Un animus che lancia un messaggio ben preciso: IDENTITA’ CULTURALE DI CAMPOBASSO. Un messaggio che non si rivitalizza soltanto il giorno a loro dedicato, bensì tutto l’anno anche quando nessuno si reca al museo o quando si chiudono le porte dello stesso gli ingegni dialogano tra loro. Un messaggio che ha lo stesso effetto dirompente di un ordigno che continua a palesare le conseguenze nonostante siano passati circa trecento uno anni.
Un messaggio che oggi a pochi giorni dalla festa viene riconsegnato per essere trasmesso a chi non ha capito che la forza dei misteri sono i misteri stessi null’altro.