Lettera in redazione
“Egregio direttore,
In queste circostanze qualunque parola può risultare inutile, però lo sfogo per una perdita così grande non può essere tenuto per sé, altrimenti si rischia di implodere.
Don Giovanni Diodati ci ha lasciato: sono convinto che sia solo un arrivederci, tuttavia una figura così carismatica vorresti averla sempre con te, presente, perché continui a dare la carica alla comunità, la faccia crescere, la faccia rialzare dai propri errori. Circa due anni fa rimasi molto negativamente colpito dalla inaspettata dipartita di un giovanissimo sacerdote di Termoli e mi sono chiesto: in un periodo in cui di “operai della messe” c’è un impellente bisogno, e dove spesso a frapporsi a certe scelte giovanili sono coloro che tali scelte dovrebbero invece favorirle, ossia i genitori, come può accadere tutto questo? Poi, fugando il turbinio di emozioni, sono giunto ad una conclusione: è probabile che determinati addii siano permessi perché chi rimane capisca dove sta andando, se sta sbagliando, e quanto preziose siano certe figure, che possono aiutarci a rendere migliore la nostra vita. Lo stesso sentimento mi ha invaso quando ho appreso di Don Giovanni, e alla rabbia per la notizia ho accompagnato un profondo senso di sgomento.
Sappiamo che il parroco di San Paolo e San Bartolomeo era addentro a mille attività, era uno dei pochi, nel capoluogo, ad aver creato un oratorio in stile salesiano ed un uomo che, al di là della simpatia, alla fine ti diceva le cose per come devono essere dette, cioè per come sono scritte nella Bibbia, senza imbonimenti o mezze parole. Era uno che dagli ammiccamenti alla logica del mondo se ne ben guardava, conscio che non portano l’essere umano se non al di là del proprio naso, e con un’eloquenza che nasceva dal cuore te lo faceva capire. Una città come Campobasso, inariditasi moralmente, culturalmente e spiritualmente, non più coesa, stanca, in via di spopolamento, non più attrattiva, acriticamente messasi alla sequela di logiche irrispettose dell’uomo come quella del transgender, ha un grande bisogno di queste figure, perché esse fungono da esempio ed ammonimento per tutti, anche per chi si sente lontano dalla fede. Lui, a differenza di tanti che si barricano dietro l’offesa verbale per mantenere saldi i propri bastioni ideologici, cercava il dialogo e sapeva condurti con amorevolezza al ragionamento, per poi portarti al discernimento, cosa che nel mondo attuale si sta estinguendo, presi come siamo dalla logica dei social network, che vorrebbero farci assurgere ad esperti solo perché ci presentano qualche scarno e spesso non imparziale trafiletto su determinati argomenti.
L’epoca attuale -e Campobasso sembra non esserne esente- vive un periodo di grande confusione, di irrigidimento su certe posizioni, di nuove, più sudole forme di tirannia, che presentano come emarginati o retrogradi coloro i quali hanno un parere diverso e che, nonostante lo esprimano pacatamente, vengono messi al bando. Un uomo come Don Giovanni fungeva da argine a questa deriva, ti faceva capire dove stava l’inganno, e non potevi fare altro che ringraziarlo. “Grazie” è la parola che sento di dirgli dal più profondo del cuore, ma anche “prega per noi” che rimaniamo qui, in una società che sembra una bussola impazzita e che ha bisogno di fermarsi se vuole ritrovare se stessa. Il Libro dei Proverbi (4:18-19) recita: “La strada dei giusti è come la luce dell’alba, che aumenta lo splendore fino al meriggio”: questa luce del giusto Don Giovanni ci guidi in un cammino che può essere tortuoso, ma non impossibile da percorrere.
Spero che da lassù continuerai ad essere un guerriero che guida il suo battaglione. Ciao, Don!”.
Piergiorgio Costantini