Ancora troppa indifferenza. Ancora troppe persone che non sanno, troppi italiani che sottovalutano quegli eventi drammatici per molto tempo rimasti sepolti sotto una spessa coltre di silenzio e noncuranza. Era la parte orientale dell’Italia, era la Dalmazia. Erano gli anni ‘40 e ’50. Un doloroso capitolo di storia, della nostra storia, scritto a rilento ma che non possiamo più ignorare perché l’oblio di oggi ucciderebbe per la seconda volta quella lunga lista di innocenti trucidati più di mezzo secolo fa. È nostro dovere ricordare, perché l’orrore delle foibe fa parte della memoria nazionale. È nostro dovere rendere omaggio alle migliaia di persone buttate negli abissi carsici e alle tantissime famiglie costrette ad abbandonare le loro case, a lasciare la loro terra. Un lungo esodo di istriani, fiumani, dalmati. Una tragedia solo apparentemente lontana, ma che a distanza di tanti anni possiamo analizzare con più impegno per imparare a leggere gli scomodi ma sanguinanti esiti con quello spirito critico e con quella maturità che ci porta a condannare, oggi più che mai, le ingiustizie, le aberrazioni politiche, le strumentalizzazioni, la cieca violenza. Di quella lunga pagina nera non va dimenticato nulla: né lo strazio patito dalle minoranze né quello sofferto dagli italiani. Un dramma collettivo di cui occorre conservare la memoria affinché le atrocità subite e il sacrificio di migliaia e migliaia di persone non siano vani.
Celebrare il “Giorno del Ricordo” vuol dire guardare in faccia la realtà, riconoscere le responsabilità, superare le barriere dell’odio che portano alla discriminazione e a puntare il dito contro la diversità, qualunque essa sia, qualunque cosa esprima. Purtroppo anche se negli ultimi anni l’Europa ha fatto grandi passi per promuovere un concreto processo di integrazione e per inglobare il versante orientale si fa ancora molta fatica a oltrepassare quelle barriere ideologiche, quei muri che alzano gli uomini contro altri uomini, società contro altre società. Steccati fisici e mentali che ci fanno comprendere quanto la diversità faccia ancora paura, quanto sia difficile l’accettazione dell’altro, del nostro prossimo, di come nazionalità o etnie diverse possano scatenare la ferocia umana, l’odio senza fine né confine che porta ad orrori inenarrabili come quelli che si ricordano in questa giornata.
Giornata che deve accendere un faro sugli errori commessi da pochi ma soprattutto sull’indifferenza e sul silenzio di tanti. Non ci resta dunque che meditare e ripartire dagli abbagli presi in passato per costruire un presente migliore e immaginare un futuro dove la diversità sia ricchezza e non il pretesto per avviare feroci persecuzioni. Certo l’aria che si respira in Italia e in Europa come purtroppo nel resto del mondo non è affatto incoraggiante, ma il nostro dovere di cittadini e di rappresentanti di istituzioni è quello di sconfiggere questo clima di rifiuto favorendo invece quelle buone pratiche di inclusione che fanno di una comunità una comunità civile, pronta ad affrontare le sfide che impone la globalizzazione. Sfide che non si vincono solo sui mercati monetari, ma bensì misurando il grado di maturità che un popolo e la sua nazione dimostrano di avere nei confronti di chi parla un’altra lingua, di chi arriva da un altro Paese, di chi professa un’altra religione. Come sindaco di Campobasso e Presidente della Provincia sento il dovere di combattere ogni forma di discriminazione, di abbattere il male per costruire il bene, per insegnare ai nostri giovani i valori autentici, per garantire la libertà che è un diritto per tutti ma che si paga ancora troppo spesso con la stessa vita.
Sindaco di Campobasso
Presidente della Provincia di Campobasso
Antonio Battista