Ventisette gennaio. Giorno della memoria. ‘Commemorazione’ di una libertà arrivata dopo anni di torture, di barbarie, di stermini. Una data da cerchiare in rosso su un calendario eterno perché non si può dimenticare un genocidio senza pari e perché occorre restituire un briciolo di umanità a milioni di persone trattate come criminali e condannate ad espiare atroci pene per reati mai commessi. Una follia scaturita dagli uomini e scatenata contro altri uomini colpevoli di essere diversi, di essere nati ebrei, di professare un’altra religione, di appartenere ad una razza che non meritava di stare sulla Terra. Razza da eliminare con una ‘soluzione finale’. L’orrore degli orrori. Una ferocia, per troppo tempo, coperta dal silenzio di chi sapeva e non parlava, di chi, davanti ad una simile strage durata anni, non aveva il coraggio di ribellarsi, di difendere migliaia di famiglie strappate dalle loro vite e dalle loro case e ammassate in luridi treni diretti verso il massacro, verso le più brutali atrocità che si compivano all’interno e all’esterno dei villaggi della morte. Qualcuno però è riuscito a sopravvivere e a raccontare la barbarie: dalla deportazione alle camere a gas, dalle torture alle fucilazioni, dalla fame alla liberazione. Davanti alle crude testimonianze in tanti hanno abbassato la testa, sopraffatti da un profondo senso di vergogna, ma molti hanno addirittura pensato che fosse solo il racconto di visionari, come se quei campi di concentramento non fossero mai esistiti. E invece quei lager sono ancora la, e sono stati eretti nel cuore della civilissima e colta Europa. Lager dove la dignità e la vita venivano annientate, dove gli uomini diventavano numeri impressi sulla loro stessa pelle. Marchiati come bestie. Un orrore che non si può cancellare, perché una delle pagine più nere della nostra storia contemporanea non deve essere strappata dai libri che danno ancora poco spazio all’olocausto. Sono passati decenni dall’apertura dei cancelli, ma l’indifferenza continua, come se il silenzio alleviasse le sofferenze di un popolo massacrato in quei lager circondati da cortine di filo spinato che tagliavano l’orizzonte e ogni possibile speranza di salvezza. Un silenzio che anche oggi diventa una pericolosa arma contro altre stragi, più o meno volontarie, che si compiono giornalmente nel Mediterraneo, cimitero per molti uomini, ma anche per troppe donne e bambini in fuga dall’oppressione di guerre o dittature e che provano ad attraversare il mare della speranza. Traversate che spesso si infrangono contro le onde di un’Europa che sembra sorda e cieca e che, diplomaticamente, volta lo sguardo dalla parte opposta alle navi cariche di chi non ha avuto una vita facile e ai quali si vuole negare una seconda chance, la possibilità di rinascere. Certo oggi non c’è il nazifascismo, non ci sono le leggi razziali, né i campi di concentramento, resta però una crudeltà dilagante contro il diverso, contro chi arriva da lontano. C’è un governo che ordina di chiudere i porti, di non far entrare altri migranti in Italia. Un governo che li lascia per settimane in mare aperto affamati e in condizioni di salute precarie, con l’obiettivo di dissuadere quanti hanno ancora intenzione di partire. Ma questa non è umanità, questa non è civiltà. Nel 2019 c’è un governo che minaccia di punire i sindaci che contestano il decreto sicurezza mentre si mostra sordo davanti alle richieste di amministratori che cercano di far capire i punti critici di un provvedimento che graverà sui bilanci e che nei comuni avrà probabili ripercussioni sull’ordine pubblico e sulla sicurezza. Uno governo che fa passi indietro, dimenticando il nobile valore dell’accoglienza e che punta i piedi invece di allargare le braccia e che indossa le divise delle forze dell’ordine durante le cerimonie importanti e quando si arrestano criminali. Lo stesso governo che non guarda in faccia al degrado di un’Italia dove cresce il malcontento generale ed aumenta perfino lo sfruttamento dei minori. Questa è l’Italia in cui viviamo e in cui noi sindaci e presidenti di Provincia proviamo a fare il nostro lavoro di amministratori. Governo poco aperto al dialogo, per via di un ostinato fanatismo che non permette di guarire ferite ancora aperte che continuano a macchiare il volto di un Paese che invece dovrebbe guardare avanti, essere pronto a costruire e a rafforzare i legami con un’Europa che va vista come una grande casa dove ogni Paese membro lavori per il bene comune e per mantenere la pace: valore prezioso che non possiamo mai dare per scontato, perché senza pace non si vive, perché senza pace c’è la guerra, la disgregazione delle comunità. Il ritorno all’orrore. Politici illuminati come Giorgio La Pira ci hanno insegnato che occorre rimettere al centro dell’azione amministrativa e della politica la persona. Persona che ha sì molti doveri, ma anche tanti bisogni e necessità confluiti nella Costituzione dove si riconoscono i diritti inviolabili dell’uomo. Diritti che andrebbero rispettati. Spendersi per gli altri dunque non come obbligo, ma come gesto di solidarietà. Ecco perché penso che quello che continua ad accadere ai migranti, ogni giorno, sotto i nostri occhi e davanti alle telecamere di tutto il mondo è assolutamente aberrante. Contro ciò che è stato prima di quel 27 gennaio 1945 non possiamo far altro che esprimere disprezzo condannando chi ha permesso simili atrocità e ricordando i morti e onorando chi è uscito vivo da quei cancelli, ma per le vittime di oggi possiamo ancora fare tanto. Possiamo evitare che intere famiglie e tanti ragazzini, molti di loro orfani, vengano lasciati soli. Possiamo dare una speranza a chi tenta di raggiungere le nostre coste e far trovare aperti i nostri porti e i nostri cuori. “Historia est magistra vitae”, conoscere la storia, per non ripetere più gli errori gravissimi che hanno portato a uccidere milioni di innocenti. Mani mosse dall’ignoranza e da uno smisurato egoismo ieri come oggi. Ecco perché se nel 2019 gli immigrati vengono additati come ‘virus’ (così come Adolf Eichmann chiamò gli ebrei in un’udienza del processo a suo carico), dovremmo spaventarci, dovremmo sentire il puzzo di una politica che una ottantina di anni fa avviò la Shoah. Chiudersi nelle proprie certezze, alzare barriere e temere chi arriva da fuori è un atteggiamento pericoloso che un Paese civile e un’Europa altrettanto civile non possono permettersi di avere, per non ricadere in irripetibili atrocità. E per non dimenticare.
Il Sindaco della Città di Campobasso
Antonio Battista
Intervento del sindaco Antonio Battista sul Giorno della Memoria
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