In questi ultimi anni, l’Associazione Nazionale Magistrati del Molise ha conseguito una serie di importanti obiettivi. Vorrei ricordare, da ultimo, quello proteso a scongiurare la soppressione della locale Corte di Appello, che avrebbe trascinato con sé tanti altri Uffici giudiziari e non giudiziari, dal che sarebbe tra l’altro conseguito un ulteriore gravissimo danno per l’economia dell’intera regione, che già sta vivendo momenti drammatici. Abbiamo dato il nostro contributo, unitamente all’Ordine Forense distrettuale, anche attraverso tempestivi interventi personali presso il Ministero della Giustizia, siamo stati i primi a muoverci in Italia, e poi si sono mossi anche altri soggetti ed altri distretti, così che allo stato attuale il discorso è rimasto sospeso e speriamo che venga abbandonato del tutto.
Un altro importante obiettivo conseguito dalla nostra ANM/Molise è stato quello di ottenere, probabilmente per la prima volta nella storia di questo distretto, il sostanziale pieno organico dei magistrati che operano presso i vari Uffici giudiziari della nostra regione. Ed anche in questo caso, per ottenere tale risultato, abbiamo avuto una serie di contatti e ci siamo recati ripetutamente a Roma, unitamente ai rappresentanti dei vari Ordini degli avvocati.
Purtroppo, però, il pieno organico dei magistrati non basta a risolvere i gravissimi problemi che affliggono il sistema Giustizia nel nostro Paese. E ciò perché questo organico andrebbe necessariamente incrementato (a parte la risicata aggiunta dei giudici onorari attualmente in servizio), visto che la pianta organica dei magistrati è rimasta pressocché immutata da oltre mezzo secolo, mentre la popolazione è aumentata di milioni di unità e così pure i processi sono aumentati in maniera esponenziale. Per cui, pur essendo i nostri magistrati come dirò oltre tra i più produttivi in Europa, le cause durano a lungo e molti processi cadono in prescrizione.
A ciò aggiungasi che i concorsi per il personale ausiliario sono bloccati da oltre 15 anni (dal 1999) e quindi si registrano gravi carenze di questo personale, le strutture (uffici, aule, mobilio, ecc.) sono assai fatiscenti, le cancellerie restano spesso persino senza carta e penne e le strutture informatiche continuano a presentare farraginosità legate a problemi di sistema.
Se non si risolvono questi problemi, non si riuscirà a sanare quella che oggi è una delle piaghe più evidenti del sistema giudiziario: la lunga ed irragionevole durata dei processi, che tra l’altro allontana gli investimenti, perché solo se la Giustizia civile funziona velocemente e bene i crediti vengono prontamente riscossi e quindi gli investimenti stranieri vengono attirati, mentre, in caso contrario, non solo gli investimenti stranieri non vengono attirati ma i capitali nazionali vengono esportati.
Per non parlare poi dell’altra grave piaga, costituita dalla violazione dei diritti umani dei detenuti specie per via del sovraffollamento delle carceri, che tra l’altro espone il nostro Stato alle condanne della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
A fronte di tutto ciò, si assiste a risposte in termini di riforme mancate (come la mancata riforma carceraria), oppure di riforme attuate ma pervero assai insoddisfacenti, come ad esempio quella sulla conciliazione o mediazione o negoziazione obbligatoria prima dell’inizio di una causa civile, le quali finiscono solo per far perdere più tempo e più soldi alle parti.
Vi sono poi i piccoli espedienti, come ad esempio quello di ridurre la pianta organica delle cancellerie mano a mano che il personale amministrativo va in pensione, così da far apparire sul piano statistico che la copertura della pianta organica sia sempre al 100%; oppure l’espediente di far circolare statistiche in cui al personale amministrativo effettivo vengono aggiunti i semplici precari presenti a vario titolo nelle cancellerie (ad esempio a seguito di convenzioni o altro), così da far apparire sul piano statistico che la copertura superi addirittura la stessa pianta organica. Solo lo scorso 20 gennaio si è proceduto ad emanare finalmente il bando per la mobilità volontaria esterna del personale amministrativo di n. 1031 posti in campo nazionale, e tuttavia si tratta di posti comunque assai limitati per ciascun Ufficio giudiziario (ad esempio n. 1 dipendente in più per la Corte di Appello e n. 2 dipendenti in più per il Tribunale di Campobasso) laddove molti Uffici giudiziari ne sono rimasti del tutto esclusi; inoltre il personale ausiliario in arrivo è da riqualificare e va a coprire posti cui aspirava già il personale ausiliario interno e parte delle retribuzioni restano a carico delle amministrazioni di provenienza, sicché detto bando è stato già impugnato e rischia concretamente di essere sospeso.
Ed infine vi è la demagogia, il populismo, come quando si cerca di far passare il messaggio che i magistrati sono dei privilegiati perché lavorano poco, hanno troppe ferie, si dedicano ad altre funzioni, non sono responsabili di quello che fanno e così via.
Ora, noi non neghiamo che vi sia qualche magistrato che lavora poco o lavora male, ma per fortuna si tratta di un’infima minoranza di soggetti, così come ve ne sono in tutte le categorie professionali, perché la stragrande maggioranza dei magistrati (ma anche del personale di cancelleria, delle forze di polizia giudiziaria e di tutti gli altri operatori della giustizia) è dedita ad un lavoro giornaliero di regola assai pesante, nonostante le gravissime difficoltà prima segnalate.
Ed a dirlo non siamo noi, a dirlo è l’Europa.
Dal rapporto per il 2014 della Commissione Europea per l’Efficienza della Giustizia (European Commission for the Efficiency of Justice – CEPEJ) e quindi da dati ufficiali elaborati non dai Magistrati e non dall’Italia ma dall’Europa, come facilmente da tutti consultabili anche via Internet e che invito a consultare appunto sul sito ufficiale CEPEJ (con tanto di grafici e dati statistici), emerge infatti a chiare lettere come il carico di lavoro civile dei magistrati italiani è il più alto in Europa (ben 2.399.530 cause civili) e come al tempo stesso i magistrati italiani sono i secondi in Europa per numero di processi smaltiti (ben 2.834.879 cause civili) e sono i primi in Europa per processi penali definiti (chiudendo il 95% dei processi penali, anche se una parte di questi purtroppo prescritti per via dei problemi di cui parlavo all’inizio).
Quanto poi alle ferie, i Magistrati hanno anch’essi da sempre avuto 30 giorni di ferie come tutti, perché gli altri 15 giorni servivano a scrivere le sentenze. In una causa civile, difatti, dopo l’ultima udienza le parti hanno 80 giorni per depositare le memorie conclusive e, quando questo termine scade nel periodo feriale, quei 15 giorni in più servivano appunto proprio a scrivere queste sentenze. Ora questi 15 giorni in più sono stati soppressi per legge, con la prevedibile conseguenza che si eviterà di fissare l’ultima udienza 80 giorni prima delle ferie e così si perderà un’udienza: anziché guadagnare tempo, si sarà perso più tempo.
Circa i magistrati che si dedicano ad altre funzioni (ossia i così detti fuori ruolo, che poi alla fine sono qualche centinaio), neppure questo è di certo un privilegio, perché è la politica che li prende in prestito (unitamente ad un certo numero di cancellieri, avvocati, ecc.) per applicarli a commissioni o uffici legislativi, a dirigenze ministeriali, ecc. data la loro competenza maturata sul campo. Ma se la politica li restituisse al servizio attivo ci farebbe un piacere, perché potrebbero darci una mano (sebbene ovviamente non certo risolutiva) a smaltire la gran mole dei processi pendenti.
Poi c’è la questione della responsabilità civile dei magistrati, una responsabilità che già c’è, anche se con lo schermo (previsto del resto nelle legislazioni di tutti i Paesi europei) dell’azione nei confronti dello Stato, che poi (se l’azione è fondata) si rivale sul magistrato. Taluni vorrebbero eliminare questo schermo, però esso non è un privilegio ma un meccanismo necessario per chiunque svolga la funzione propria di un arbitro: anche l’arbitro di una partita di calcio, ad esempio, ha lo schermo di sanzioni sportive aggravate nei confronti di chi dovesse usargli violenza, perché se questa violenza venisse sanzionata col solo cartellino giallo l’arbitro rischierebbe di prendere botte dai calciatori dell’una e dell’altra squadra ogniqualvolta dà torto agli uni o agli altri, e così magari la partita stessa non potrebbe giocarsi più. Analogo discorso vale per i magistrati, perché eliminare ogni schermo e permettere la loro citazione diretta in giudizio da parte di coloro cui essi danno torto significherebbe danneggiare gravemente la quantità e qualità del lavoro giudiziario: da un lato, infatti, ciascun magistrato vedrebbe proliferare accanto al suo naturale ruolo processuale un altro ruolo processuale, quello delle citazioni a suo carico (provenienti specialmente da chi ha i soldi per potersi permettere questa ritorsione, oppure da chi non ha nulla e lo cita a spese dello Stato col gratuito patrocinio), un ruolo a suo carico che, riguardandolo di persona, umanamente egli tenderà a seguire con attenzione così venendo distolto dallo smaltimento del suo ordinario ruolo lavorativo e quindi con ulteriore allungamento dei tempi della giustizia; e, dall’altro lato, i laureati più bravi si guarderebbero bene dall’accedere ad una professione così spinosa e sceglierebbero altre professioni, con scadimento anche della qualità dei giudici e delle loro sentenze.
Ed infine, c’è la questione ricorrente e che a breve tornerà probabilmente sul tappeto della separazione delle carriere. Si tratta di una riforma che a mio sommesso avviso potrebbe anche condividersi in linea di principio, ma dietro la quale si cela un grave pericolo, quello di giungere in ultima analisi all’obiettivo (più o meno sottinteso) della subordinazione del P.M. al potere esecutivo (e cioè al Governo, o al Ministro della Giustizia) o magari al potere legislativo (ossia alla maggioranza parlamentare), il che significherebbe che l’azione penale verrebbe bloccata in caso di coinvolgimento dei poteri forti, direttamente o indirettamente collegati alla politica. I corrotti ed i corruttori resterebbero così di regola impuniti, come lo resterebbero i grandi evasori fiscali, i bancarottieri, i grandi truffatori, i ladri di Stato e la stessa criminalità organizzata, per via dei suoi non infrequenti legami col potere politico.
Perciò, per tutte le cose sin qui esposte, attenzione a porre mano in un modo o in un altro al principio dell’autonomia e dell’indipendenza della Magistratura, che è un principio che i nostri Padri costituenti posero non quale privilegio per i magistrati, ma quale garanzia per tutti i cittadini e specialmente per le fasce sociali più deboli, per le classi subalterne e per le grandi masse che rappresentano la stragrande maggioranza del popolo italiano, perché solo un giudice autonomo dai poteri forti ed indipendente dai poteri forti è un giudice veramente terzo e quindi veramente imparziale, che giudicherà dunque con la dovuta terzietà ed imparzialità i casi che gli vengono sottoposti, senza il pericolo di favoritismi delle parti più forti in danno di quelle più deboli, senza il pericolo di realizzare una giustizia forte con i deboli e debole con i forti, un sistema in cui i cittadini non sono tutti uguali di fronte alla legge, a tutto discapito dello stesso principio di democrazia, a tutto discapito dello Stato di diritto.
Ecco, noi operatori del diritto queste cose abbiamo il dovere morale di dirle ed anche di denunciarle, abbiamo il dovere di mettere i cittadini in guardia dai tentativi ricorrenti di riformare la magistratura subordinandola ai poteri forti, anziché di riformare la Giustizia, perché è di quest’ultima riforma, sinora sostanzialmente inattuata, che invece il Paese ha assoluta necessità. Dopodiché, ovviamente, chi fa le riforme in rappresentanza del corpo elettorale sono il Parlamento ed il Governo, e, alla fine del discorso, la conclusione resta sempre quella che ogni popolo ha i politici che si merita ed ha i giudici che si merita.
IL PRESIDENTE ANM Molise
(dott. Vincenzo Di Giacomo)