Oggi, 10 ottobre 2023, ricorrono gli 80 anni dalla morte eroica di mons. Secondo Bologna, che è stato vescovo della nostra diocesi, dal 1940 al 1943. Tre soli anni, ma eroici e degni di perenne memoria.
Lo ricordo molto volentieri anche perché, per un dono, quasi un privilegio, conservo la sua insigne reliquia nella mia cappellina di Vescovo, in episcopio, da diversi anni. Si tratta di un pezzo si stoffa bianca, che conserva evidentissimo il sangue del Vescovo. L’ho fatta preziosa, ricca di grazia. E’ stato un dono singolare da parte di una Consacrata, che ha seguito la vicenda del Vescovo, fin dall’inizio, per poi condividerne il dramma conclusivo, come martire, sotto le bombe, nella famosa domenica 10 ottobre 1943. Ottant’anni, esatti, come oggi.
Ma chi era, questo Vescovo? E perché va tanto ricordato? Che ha fatto di particolare per la nostra città di Campobasso?
Era del Piemonte, esattamente di Cuneo, dove era nato, in un piccolissimo paese dell’entroterra, nel 1898. Aveva sempre conservato il sapore delle periferie. Per questo, giunto giovanissimo Vescovo in Molise, a soli 42 anni, si trovò in un ambiente consono alla sua storia. Da militare, aveva fatto il servizio come ufficiale dell’esercito, sul fronte della prima guerra mondiale, diventando esperto di attività belliche, cosa che gli fu molto utile, quando dovette fare i conti con l’avanzata delle truppe Alleate, nel 1943, lotta con l’esercito Tedesco.
Dopo l’otto settembre 1943, infatti, la nostra città di Campobasso si trovò circondata da due fronti: al sud, verso Mascione, erano appostati i Canadesi, pronti ad intervenire, mentre i Tedeschi erano asserragliati nel centro storico della città, attorno al Castello Monforte. In mezzo, si trovava la povera gente, che vedeva nella figura del Vescovo il suo naturale alleato, il suo storico difensore. Perciò, il Vescovo diventa l’unico punto di riferimento, operativo e morale.
Nella sua realtà di pastore diocesano, arrivato nel giugno 1940, aveva molto seguito il laicato, specie l’Azione Cattolica, allora vivacissima in diocesi. Frequenti le sue visite nei paesi. A Bojano in particolare, perché la cittadina antica era rimasta priva della figura fissa del Vescovo, per scelta difficile di mons. Alberto Romita (1927-1939), che aveva deciso di vivere a Campobasso, per motivi di concretezza pastorale. Scrive spesso ai sacerdoti, specie dopo l’otto settembre 1943, quando era facile scappare, davanti all’ignoto di una guerra di cui non si vedeva ancora la fine. Tutto era incerto, anche il servizio sacerdotale, nel cuore del singolo parroco. La gente scappava. Era questa anche la tentazione del prete. Mons. Bologna fu esemplare: rimase fermo, in povertà e ristrettezze, freddo e condivisione, fino in fondo. E in quei mesi di forte sconcerto, sociale ed ecclesiale, scrisse una mirabile lettera in cui richiamava ai preti la figura del “Bone pastor”, il Buon pastore evangelico, che non lascia mai le pecore prive della sua fedeltà di guida sicura.
Ed eccolo sulla trincea, quando intuisce, da buon esperto militare, che la città di Campobasso rischia la distruzione, se solo saranno attivate le operazioni belliche, da una parte e dall’altra. Tenta allora una mediazione, che appare ben presto impossibile: “la guerra è guerra…!”, gli viene risposto, sia da parte degli Alleati che dei Tedeschi. In mezzo, la gente, invece, lo invoca! E lui, a fare la spola tra i due fronti, anche per salvare il grano, nei vari pastifici cittadini. Una vera emergenza! Padre dei poveri. Come lo sono stati gli antichi santi, nelle città medioevali.
Arriviamo così al 10 ottobre 1943. E’ domenica. Al mattino presto, celebra con il popolo in cattedrale. Una messa di trepidazione, per le notizie tristi che arrivano. Al temine, prima di chiudere eleva un eroico grido di offerta: “Signore, salva il mio popolo! E se per la salvezza di Campobasso, occorre una vittima, prendi me, ma salva il mio popolo!”.E’ una supplica, al cuore stesso di Dio!
E Dio risponde, come sa fare lui, che prende sempre sul serio la nostra preghiera. Così alla sera, mentre il Vescovo sta pregando il Rosario nella cappellina del Seminario, al piano terra, con le Suore, una bomba, lanciata dall’esercito canadese contro la città, scoppia devastante e travolge con le sue schegge il Presule. La bomba sfonda tutti i piani e esplode proprio nella cappellina. Una scheggia trafigge il capo di mons. Bologna ed uccide anche suor Lucia, che gli è accanto, in preghiera. L’altra suora, che non era presente in chiesa, accorre subito e con l’amitto liturgico tenta di fermare il sangue abbondante, che esce dalla ferita, mortale. Viene portato subito alla vicina caserma dei carabinieri, di fronte. Ma tutto è invano, perché morirà poco dopo, in un lago di sangue.
Eppure (ed è qui la forza della fede dei santi!) la sua morte fermerà la distruzione della città, come lui aveva invocato, perché la notizia della sua tragica fine desta subito sconcerto tra i due eserciti, in lotta. Nessuno vuole prendersi la responsabilità e la scarica sull’altro. I tedeschi e gli Alleati, per mano di alti ufficiali, prendono così la decisione di non infierire più contro la città. Inoltre, il 13 ottobre, mercoledì, inaspettatamente, i Tedeschi escono da Campobasso, per rifugiarsi a Cassino, ritenuta più sicura. La città è libera. Campobasso è salva. Proprio come aveva pregato il santo Vescovo Bologna, la domenica mattina, offrendo se stesso come vittima di pace. Il suo martirio ha salvato la città.
Non ci resta oggi che continuare a pregare, specie dopo l’ultima scintilla di guerra, scoppiata in Palestina, attorno a Gerusalemme, la città della pace. Perché forse, anche in quel luogo santo, occorre qualcuno che si offra come vittima, per fermare la guerra fratricida?
+ p. GianCarlo, vescovo