Cosa si cela sotto la Campobasso di un tempo?

di Massimo Dalla Torre
Prendiamo spunto da una recentissima visita a quello che potremmo definire il mondo della terra di sotto. Un mondo che vede la città capoluogo di regione affiancarsi senza alcun timore ad altre realtà molto più blasonate. Ebbene si Campobasso, o Campi bassi, Campus Vassorum e in dialetto Campuasc’ cela sotto il manto stradale veri e propri tesori. Testimonianze di un passato che affonda le radici nella storia e nel tempo. Un mondo che, affascina, anzi affattura, come direbbero i popolani veri e propri eredi di quello che è stata per secoli la città. La quale, preserva testimonianze importanti: pezzi di mura perimetrali di antichi bastioni, torrette di scolta, antiche carceri, camminamenti usati per rifugiarsi da eventuali attacchi del nemico e chiese dove il silenzio non guasta, anzi favorisce la meditazione e l’ interessante clerical-culturale. E proprio grazie alla visita ci è venuto in mente un titolo per queste poche considerazioni basate non solo sulla curiosità ma sull’affezione al capoluogo della ventesima regione dello stivale: Cosa si cela sotto Campobasso? Un viaggio che molti farebbero bene a fare di persona anche se a causa distonie del sistema non è possibile se non in parte. Una situazione che sotto certi aspetti ha del grottesco perché ancora una volta dobbiamo costatare che le iniziative che potrebbero attrarre turisti e risveglio economico tanto da far rivitalizzare la città che, causa l’inerzia e l’apatia, non diciamo di chi, anche se lo sappiamo benissimo, la fa sprofondare ancora di più nell’oblio e nell’anonimato tanto da appellarla “sonnacchiosa”. Un aggettivo che però non ci sentiamo di avvallare perché la comunità cittadina non lo merita perché può offrire a chi arriva da fuori regione uno spaccato di vita-storia. Di come Campobasso è abbandonata a stessa non c’è giorno che non se ne parli, specialmente se oggetto del “chiacchiericcio” che finisce in cronaca, è il centro storico di cui spesso abbiamo scritto. Una parte nevralgica rivitalizzata grazie al Prof. Roberto Colella e il tipografo Minichetti che ci hanno aperto le porte di alcune “cantine” si fa per dire cantine, che nascondono veri e propri tesori geologici, archeologici e architettonici, come l’antico accesso ad un convento benedettino del 1200 con un soffitto a volta a crociera che nella parte centrale presenta una grata, molto probabilmente dava luce al romitorio che affacciava su qualche strada a noi sconosciuta e ancora da scavare, oppure contrafforti che perimetrano il primo selciato della città, situato a molti metri sotto l’attuale calpestio, scale e inizi di camminamenti che mettevano in connessione tutta una serie di luoghi ancora celati. Cose che molti c’invidierebbero perché sono la personificazione dell’animus dei “Campuascian” usiamo il vernacolo per rendere meglio l’dea. Luoghi che se potessero, in parte lo fanno grazie agli studiosi e ai cultori della storia locale, racconterebbero quello che è stato il passato, tant’è che nel corso della visita sono venute fuori curiosità e aneddoti legati anche al secondo conflitto mondiale che cambio persino la toponomastica cittadina. Storie che permettendo alle nebbie di diradarsi per rivitalizzarsi. Una riscoperta che si valorizza soprattutto quando si scende, nei sotterranei, o vuttar in dialetto, bottai, dalle botti conservate in Italiano, dei palazzi che sorgono lungo Via Orefici, via Cannavina, Largo San Leonardo, Via Ziccardi, Via Sant’Antonio Abate, Porta San Paolo e zone limitrofe senza contare la cinta muraria prospiciente i bastioni del castello Monforte. Un percorso che si dipana in tanti rivoli, come un torrente che svanisce nelle viscere della terra. Una sorta di dedalo che porta a toccare con mano amori, disagio, soprusi, povertà, laboriosità, violenza e mistero. Cose che, sono il fil-rouge di un cammino che fa riscoprire la città vera e non quella posticcia, raffazzonata e arruffona. Aggettivi azzardosi che ci tuttavia ci permettono di scrivere il finale dell’articolo che, tra il romanzato e l’affettivo è senza alcun ombra di dubbio anacronistico per i tempi che corrono…o forse no!!!

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