#corpedelascunzulatavecchia/”Ete accise u’ puorche? Comme è menuta la sauciccia quist’anne?”

Qualche giorno fa, miracolo di Facebook, ho mandato gli auguri di compleanno ad un mio parente che vive da oltre cinquanta anni nell’ “altra” Italia. Giovanni partì per gli studi universitari a Roma ed in Molise non ci è tornato se non per le vacanze, e questo lo fa ogni anno.

L’affetto di Giovanni, non è un nome di fantasia, per la sua terra di origine è sempre stato forte e sentito e non ha mai dimenticato niente della sua terra di provenienza. Mi piace molto interloquire con persone che vivono fuori dal Molise da tanto tempo. Per sentirsi ancora molisani tirano fuori i ricordi della loro vita vissuta in Molise, ricordi che, per causa di forza maggiore, sono ricordi più che datati oramai quasi storici. E questo li rende ancora più affascinanti.

Ho scritto questo perché Giovanni nel ringraziarmi per gli auguri mi ha chiesto se avessimo già ammazzato il maiale e come fosse la salsiccia di quest’anno.

Queste due domande mi hanno catapultato nei ricordi degli anni della mia infanzia quando i “sacrifici suini” erano all’ordine del giorno in periodo natalizio.

A casa mia si iniziava a parlare del “sacrificio suino” intorno al 15 dicembre, a tavola si identificava la “mancanza” (fase di luna calante) del mese di gennaio e si iniziavano a fare delle ipotesi. Erano solo ipotesi di date, ipotesi che dovevano, poi, incastrarsi nelle date di tutta la famiglia. Perché? Perché Zio Giovanni, non quello degli auguri, ma non suo zio era il “macellaio” di tutta la famiglia e quindi bisognava far collimare le date con la disponibilità di zio Giovanni che arrivava a “sacrificare” anche trentadue maialotti per il bene del colesterolo e della pancia di tutta la famiglia. Tirate fuori delle date probabili, si aspettava la mattina di Natale. La mattina di Natale mio padre (babbo) ci portava a fare gli auguri ai parenti, alcuni erano “titolari” dei “sacrifici suini” da effettuare. Era in quelle occasioni che si stabilivano le date precise. Ci si incontrava non avendo a disposizione una chat di gruppo. Le famiglie che avevano bisogno dell’aiuto di zio Giovanni, oltre la mia erano quelle di zio Vittorio e zio Michele, senza dimenticare che, alla fine, anche zio Giovanni doveva “sacrificare” i suoi porcelli. Questi per parte della famiglia della moglie di zio Giovanni.

Allora si iniziava, nel periodo natalizio, con zio Vittorio che aveva disponibilità di tempo, insieme alle figlie, solo durante le vacanze di Natale, poi seguivamo tutti quanti noi. Zio Vittorio, ma tutta la sua famiglia, era fortunato perché riusciva ad avere i suoi cotechini per le lenticchie dell’ultimo dell’anno, noialtri dovevamo accontentarci di ringraziare il Sig. Negroni per aver prodotto zamponi e cotechini. Dalle “prenotazioni uccisiorie” era escluso zio Amodio, per il solo fatto che abitando a Termoli, noialtri a Campobasso, faceva tutto da solo.

Erano giorni di lavoro massacrante ma giorni di festa, giorni che riuscivano ad unire la famiglia e c’era anche la frase conveniente: “ce vereme, ne parlame, quanne accereme u puorche” queste frasi erano dettate dalla necessità del mondo contadino di avere del tempo a disposizione che non poteva essere quello estivo della raccolta, ma quello invernale del freddo e delle buio precoce rispetto all’estivo. Erano momenti di coesione dettati anche dalla necessità di aiuto fisico che abbisognava per procedere all’ “operazione” di cui sopra. La meccanizzazione oggi ha rovinato anche questo. Mi giungono voci di macellai che con trenta euro ti consegnano il suino bello e pronto per essere insaccato ed essiccato. Fa tutto da solo il solo macellaio e i parenti se vogliono possono andare a casa del padrone a fargli “le condoglianze suine” ma solo per sedersi a tavola e cenare insieme. Bisogno di aiuto fisico non ce n’è e quindi sfuma anche il motivo della riunione.

In chiusura, come dicono gli oratori politici, voglio ancora ringraziare Giovanni che con il suo messaggio mi ha ridestato questi bellissimi ricordi da bambino voglio rassicuralo perché, purtroppo, per motivi contingenti (colesterolo ed altro) abbiamo abolito il “sacrificio” del maiale a casa nostra dal 1989, tralasciando in questo modo ricordi e tradizioni che provenivano dalla notte dei tempi. Un’ultima cosa: il “sacrificio suino”, negli ultimi anni, si è spostato dagli inizi di gennaio a metà febbraio a causa delle temperature che si vanno progressivamente alzando. Non è che questo riscaldamento globale lo fanno per farci tenere il colesterolo nei limiti dell’Unione Europea?

Chiedo scusa se vi ho ammorbati con ricordi della mia famiglia ma credo possano essere ricordi comuni a molti di noi.

Con immutata stima e rinverdito affetto vi saluto con affetto. Statevi arrivederci.

Franco di Biase

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