Nei miei ricordi da bambino, fortunatamente, non ho ricordi di guerra. Di questo ne sono felice. I ricordi di guerra che ho sono per guerre viste in televisione o per racconti ascoltati dagli anziani.
Il primo ricordo di guerra che mi viene in mente è relativo alla guerra del Vietnam quando nonno, tutte le sere e con religioso silenzio, voleva ascoltare “u cumenecate”, così chiamava il telegiornale. Doveva essere una reminescenza degli albori della radio.
Quasi come i peperoni della sera prima durante la notte, ricordo molto vagamente le notizie dei combattimenti in Vietnam con l’immancabile fotografia del Presidente statunitense Lindon Johnson ed a seguire le notizie dell’allora “medio Oriente” con la politica israeliana nei confronti dei palestinesi e le foto di Golda Meir prima e di Moshe Dayan poi rimasti famosi la prima non di certo per la bellezza, ma meglio Golda Meir che……mah, lasciamo perdere, ed il secondo per la benda sull’occhio da bucaniere. Questo nel mio immaginario da bambino.
A questi ricordi aggiungo i racconti che mi hanno fatto della guerra, iniziando da quando mio nonno dovette andare a lavorare in Germania durante la seconda guerra mondiale per dare un aiuto all’ alleato tedesco. Cioè, in pratica, mandarono mio nonno, contadino, a lavorare nelle campagne tedesche per aiutare l’alleato tedesco nello sforzo bellico. Sforzo bellico sostenuto pienamente anche dall’Italia.
Quando troverete una logica a tutto questo chiamatemi, io la cerco da quando ero bambino.
La partenza dei nostri contadini per la Germania fu organizzata in pompa magna ed ognuno di loro fu accompagnato alla stazione da due ragazze in costume, ragazze che nell’ immaginario delle mogli rimaste da sole a mandare avanti l’azienda e la casa, erano destinate, le ragazze, al sollazzo dei loro mariti indefessi lavoratori italici.
Questa “credenza” credo si alimentasse con le enormi doti di tombeur de femme che aveva l’allora capo del Governo. Originario di Predappio, non di Arcore.
Tornati a casa dopo circa sei mesi le mogli dovettero ricredersi della “villeggiatura” dei mariti quando li videro tornare “affamati” di coniugale amore. Tornati i mariti poco dopo iniziò la ritirata della truppe germaniche su per l’italico stivale. Ovviamente si ritirarono anche da Campobasso e qui avrei un collage.
Potrei iniziare con quello del mio vicino di casa che impegnato in una “seduta di gabinetto”, ma non era ministro, sentì dei colpi di mitragliatrice e preso dalla paura e dalla fretta, uscì fuori, immaginate bene da dove, tenendo in una mano i pantaloni e nell’altra altro indumento correndo verso la casa dove erano ricoverati tutti gli altri.
Successe anche che i nostri contadini cercarono di nascondere gli animali, ma tutto, nonno riuscì a nascondere il rame, ed io ancora oggi guardo quella “tina” con ammirazione, gioia ed amore.
Dicevo bisognava nascondere la roba per evitare che i tedeschi facessero razzia. Il problema era nascondere gli animali. A casa mia si organizzarono con i parenti e portarono gli animali (mucche, maiali, pecore) in una “massaria” che nonno aveva in altra località. Località “Sante Cachhie”, chiamata così perchè nonno comprò quella terra da una signora che per enorme devozione nei confronti della religione quando si arrabbiava non proferiva altro anatema che:
“mannaggia a Sante Cacchie”, oggi forse direbbe: “mannaggia a Sante Niente”.
Quindi mio padre ed alcuni suoi cugini, che furono poi compagni di avventura anche nell’esperienza di lavoro in Argentina, portarono gli animali a “la massaria e Sante Cacchie”.
Ancora oggi la “massaria” diruta ma non utilizzabile per il 110, è in un posto isolato, immaginarsi ottanta anni fa. Eppure, bisogna dire, che quando arrivarono gli alleati chiesero conto agli abitanti della zona di una strada presente sulle loro mappe, ma non sul territorio. La strada stava a circa trecento metri in linea d’aria dalla nostra “massaria”. Meno male che la cartografia dei “kartoffell” non era come quella degli alleati.
Il trasporto degli armenti a “la massaria e Sante Cacchie” avvenne ovviamente a piedi e magari in più viaggi. Resterebbe, se non fossero tutti nel regno dei giusti, da capire come si organizzarono per dormire di notte, visto che “la massaria” era un ambiente unico. Lo chiederemo quando ritroveremo i nostri avi.
Altri ricordi li catturai da una signora di Campobasso, figlia di un sottufficiale che mi raccontò che la madre indossò la pelliccia sotto il cappotto per non farla trovare ai tedeschi, cosa ci avrebbero fatto con un pelliccia da donna non si sa, e salirono su a casa nostra perchè i tedeschi in ritirata stavano facendo “danni” a Campobasso. Casa nostra è in comune di Campobasso, ma noi abitiamo, ora come allora, in contrada e con la città c’era differenza.
Dall’alto della nostra collina assistettero all’ incendio del mulino di Ferro in Corso Bucci. Gli “effetti” dell’incendio sono stati visibili sino alla costruzione dell’attuale “città nella città”.
Noi a Campobasso, fatta eccezione per le vittime del tiro a segno, e della morte di Monsignor Bologna non avemmo un passaggio molto cruento della guerra. Quindi solo ricordi brutti ma senza spargimento enorme di sangue.
Altro ricordo è quello del mio carissimo e compianto amico Claudio Gianfagna. Claudio mi raccontava che, morta la nonna, dovevano portarla al cimitero. Furono “scelti” lui ed uno zio per portare il feretro su una carriola, non scherzo, al cimitero. Giunti in prossimità dell’incrocio di Via San Giovanni, all’altezza del supermercato, furono fermati da una pattuglia tedesca che volle aprire la bara per vedere se non trasportassero armi. Riscontrata la presenza della nonna fecero richiudere la bara ed un soldato fece una carezza a Claudio regalandogli un sigaro. Claudio e lo zio continuarono ma arrivati dinanzi al cimitero iniziò una micidiale mitragliata aerea e sotto una terribile pioggia di proiettili i nostri improvvisati trasportatori chiesero e supplicarono ai frati di aprire per poter lasciare la nonna. Decisero, per salvarsi, di lasciare la nonna dinanzi alla porta della chiesa e di ripararsi. Saggia decisione.
Altro episodio che i ragazzi di allora si “divertirono” ad organizzare fu quando trafugarono delle casse di munizioni inglesi dalla stazione. I pianerottoli della stazione ferroviaria di Campobasso erano pieni zeppi di casse di munizioni. Questi maramaldi birichini ne presero alcune e le portarono al campo sportivo. Qui come fu e come non fu, organizzarono una enorme “Piedigrotta”, una Piedigrotta” talmente roboante che si precipitarono fuori dagli alloggiamenti tutti i soldati inglesi armati di fucile, elmetto, ma rigorosamente in mutande.
Allo scoppio potente avevano associato una attacco tedesco e quindi si resero pronti e reattivi.
Soldati inglesi che si resero protagonisti di una rissa al monumento dei caduti quando dei nostri concittadini vollero difendere l’onore di alcune ragazze e fu allora che se le diedero di santa ragione.
Nel raccontare degli episodi di guerra non si può evitare di ricordare il famoso “cazzone “ americano.
Nel linguaggio comune il “cazzone” viene considerato da noi molisani in genere, il soggetto alto e fesso, soprattutto allora considerando la bassa statura degli italiani. Allora un soldato americano al sentirsi chiamare “cazzone” volle chiedere cosa significasse. I nostri avi, nonno raccontava che il “fatto” avvenne a Piazza Andrea D’Isernia, praticamente sotto casa, si espressero a gesti ed a parole poche ne sapevano in dialetto, figurarsi in italiano o in inglese. Comunque il noto americano capì che volevano dire che fosse alto ed ebbe a dire: “ oh, yes, mio brother all’Amereca, essere più “cazzone” di me”. Ovviamente voleva dire che il fratello era più alto.
Ecco questo sono dei piccoli ricordi di racconti che ho ricevuto, purtroppo, in eredità da parenti ed amici che non ci son o più. Sono convinto che ognuno di loro tutti questi ricordi non li classificherebbe come bei ricordi, ma solo come ricordi di guerra, ricordi di qualcosa, la guerra, che se non fosse mai esistita saremmo stati tutti meglio.
Resto basito dai racconti della guerra per dire vera che ascoltiamo tutti in televisione, resto basito dalla necessità di scatenare una guerra per dissentire su qualcosa, resto basito su come un essere umano possa ancora concepire di uccidere un proprio simile.
Ho scritto solo cose che possono anche essere considerate simpatiche ma la guerra non lo è mai. Il “problema” è che con il passare del tempo tendiamo a ricordare solo le cose belle e non le brutte. E forse per questo motivo continuiamo a fare guerra.
Con il cuore dispiaciuto per gli eventi bellici ed i drammi umani vi saluto tutti con affetto e, quindi, statevi arrivederci per la prossima volta.
Franco Di Biase