Sembrerà strano ma oggi non parleremo, io parlo e scrivo e spero ci sia qualcuno che legga, di politica, ma di vita bucolica. L’input a parlare di campagna, a me tanto cara me l’hanno dato degli amici di infanzia la scorsa settimana in due diverse e piacevoli conversazioni.
Nella prima piacevole conversazione il mio amico ha ripercorso tratti della sua vita da ragazzo di campagna, che non è il film di Pozzetto, ma una storia vera. Una storia che ripercorreva la sua vita da bambino/adolescente con i primi lavori fatti in campagna per aiutare “la carretta”. Di solito in campagna anni fa, si era soliti affidare ai bambini o agli anziani il pascolo degli animali. Gli animali al pascolo servivano per non depauperare la scorta di foraggio necessaria ad affrontare il lungo inverno “campobassese” e si dirigevano armenti e greggi anche verso terra non coltivate di altri proprietari, che non dicevano nulla in considerazione della “pulizia” che facevano gli animali sulla terra incolta. In una di queste giornate “da pascolo” due cugini forse dodicenni, furono incaricati di portare al pascolo le quattro mucche della famiglia.
A quei tempi con quattro mucche si iniziava ad essere un’azienda agricola, considerando
l’agricoltura che era quasi di sussistenza. Come fu e come non fu, come fu si sa, i “guardiani” delle mucche iniziarono a giocare/parlare tra di loro, erano pur sempre dodicenni, e le mucche “diventarono” due. Quando se ne accorsero, pur temendo l’ ira funesta, non del “pelide Achille”, ma dei genitori di entrambi che, si sa, in quei casi erano pronti alla “coalizione educativa” nei confronti dei minori, tornarono a casa con le due mucche rimaste. Al loro arrivo a casa tuoni fulmini e saette li accolsero e pieni dell’eccezionale “cazziatone” ricevuto tornarono sul luogo “del delitto” per cercare le mucche mancanti. Erano sicuri di ritrovarle? Non si sa, ma lo sperarono di cuore.
Le bovine al pascolo cosa avevano fatto? Approfittando della distrazione dei loro guardiani, si erano dirette in un campo di bellissima biada che avevano provveduto ad assaggiare con molta precisione e quasi totalmente. Non contente, le bovine disperse, si erano sdraiate a terra dopo il pranzo e, giustamente avevano anche assaporato il piacere di un pisolino all’aria aperta.
Quindi, praticamente, tra la biada mangiata, quella calpestata e quella acciaccata dal “pisolino bovino” del campo di biada del vicino poco ci era rimasto. Ed anche la distruzione del campo di
biada implementò la razione di “cazziatone”.
In un altro “episodio” altri interpreti/pastori/dodicenni dovevano pascolare le pecore. Più che stare attenti che le pecore non si perdessero non potevano fare e quindi di tempo per oziare ne rimaneva in abbondanza. Alla costruzione di improvvisate fionde, ma anche canne da pesca, si aggiungeva anche, come abbiamo fatto tutti, la gare di tiro allo sputo, a chi sputava più lontano e magari altre gare di chi …….. più lontano. Nel pascolare le pecore c’erano dei momenti topici, uno di questo era sicuramente quando le pecore bisognava “bagnarle”.
Il bagno della pecora veniva fatto in primavera ed era il preludio della tosatura della lana. Questo perché tosare la pecora con la lana sporca era troppo difficile, come succede oggi a noi quando tagliamo i capelli e ce li shampiamo anche se li avevamo lavati il giorno prima. Le
pecorelle venivano portate in gruppo presso un ruscello che noi ancora oggi ci ostiniamo a chiamare fiume e venivano fatte passare sopra un ponticello che serviva, al pastore di turno, come la piattaforma di Tania Cagnotto per “convincere” le pecore ad entrare in acqua.
In pratica le buttavano in acqua dal ponticello e le pecore guadagnavano l’uscita dalla parte opposta dello stagno grazie ad un “invito” che qualcuno aveva provveduto a fare spianando con badili e bidenti, parte della riva dello stagno. Non era cosa rara che per casi “fortuiti” o per scherzi che poi crescendo avrebbero definiti da caserma, in acqua ci finivano anche i pastori con vestiti e scarpe comprese, ma si sa i “rischi” del mestiere ci sono ora come allora.
Altro momento per i pastorelli che eravamo poteva essere quello di portare le pecore dal montone per farle coprire, anche se non avevano freddo. Credo sia stato in quelle occasioni che i nostri amici di campagna, in età preadolescenziale, abbiano capito prima di tutti i loro compagni cittadini la “storia” delle api e del polline e del come si “compravano” i bambini. Vita dura ma istruttiva. Perché ho scritto questo non lo so, mi è piaciuto ricordare le conversazioni con i miei amici d’infanzia per far capire come poteva essere impegnativa e sacrificata la vita di una volta in campagna.
Alla prossima volta per la politica, per oggi, sempre con affetto e stima, statevi arrivederci.
Franco di Biase