Cari saluti a tutti, questo è ancora non un racconto, ma un insieme di ricordi della mia (nostra) infanzia e come l’insieme dei ricordi della “frezza”, anche questo insieme di ricordi si impernia sulle birichinate di tre contradaioli campobassani della fine degli anni sessanta inizio anni settanta. Anche qui siamo noi tre: Nicola1, Nicola2 ed io, in rigoroso ordine di nascita.
Per capirci abito tutt’ora a circa un chilometro dal conservatorio di Campobasso, ma per noi è un altro mondo, tuttora e non solo allora. Tanto per dirne una se “scendiamo a valle” per comprare un chilo di pane noi usiamo dire che: “siamo andati a Campobasso a comprare il pane”. La vita di contrada è questa, ci si raccoglie insieme e si rimane vicini per potersi aiutare. Ed è proprio quell’aiuto di cui si aveva bisogno nei periodi di grande lavoro nei campi, quel bisogno di aiuto che creava solidarietà tra le persone, solidarietà che poi si riversava anche tra noi bambini di allora. Ma una solidarietà che continua a pervaderci, tanto è vero che non è strano se uno di noi, amici ancora oggi, dica ad un altro: “..se hai bisogno di aiuto chiamami senza problemi, staremo una mezza giornata insieme”, magari a tagliare la legna con la motosega, ma staremo insieme.
Anche allora stavamo insieme e cercavamo in tutti i modi di divertirci. Ci divertivamo come potevamo e spesso eravamo costretti a costruirci i giocattoli. Per motivi di lavoro dei miei genitori io posso “pregiarmi” di aver vissuto una doppia infanzia: la prima quella di casa dove abitavamo, ed ancora oggi, in campagna, la seconda con i bambini del vicinato del negozio di mio padre. In tutti e due i casi serbo un gran bel ricordo. E come non si potrebbe visto che sono ricordi di bambino?
Bando alle ciance ed iniziamo, continuiamo, il racconto dei giocattoli. Come dicevo i quel periodo, ancora non avevano inventato le play station, e meno male, quindi ci si adattava con i giocattoli che si aveva. Ho detto delle mie due frequentazioni di amici, per brevità diremo campagna e città. In città avevo degli amici che scrivevano a Babbo Natale e ricevevano in dono quello che avevano chiesto, in campagna scrivevano a Babbo Natale ed il più delle volte ricevevano le mille lire dei nonni come buon augurio. Ma bisogna far pur qualcosa ed allora i giocattoli si costruivano. La “costruzione” migliore credo sia stata quella delle carrozze con i cuscinetti a sfera. Tavole di legno cui ci inchiodavano sotto dei pezzi di legno che facevano da assi della carrozza portando, alla fine dei cuscinetti a sfera. L’asse anteriore non era ovviamente fisso e portava al centro un buco sui si faceva passare un bullone per permettere che potesse sterzare. Come si sterzava? Ai lati dell’asse anteriore si legavano degli spaghi e si tiravano alla bisogna per far sterzare la carrozza.
Fatto il prototipo della carrozza iniziava a quel punto il work in progress della carrozza stessa.
Scoperto che la carrozza si poteva fare si iniziava a reperire il materiale. Se ci fosse mancato qualcosa sarebbe stato inutile chiederlo in casa, sia come prestito o peggio ancora da acquistare. La risposta sarebbe stata sempre la stessa: “A che serve, che c’ha fa?”. I periodi erano quelli del boom economico di Gino Bramieri che inneggiava al “Moplen”, dell’opulenza delle pubblicità dei salumifici o della Fiat, ma noi ci sentivamo sempre dire: “A che serve, che c’ha fa?”. I nostri genitori e, peggio ancora, i nostri nonni, avevano ancora vivo il ricordo della guerra e quindi cercavano di ottimizzare tutto. Noi invece, dovevamo ottimizzare le carrozze con i cuscinetti per la discesa di casa.
A dire il vero una vera carrozza io non l’ho mai costruita di “persona personalmente” ma avendo utilizzato quelle dei miei amici ancora mi vibra tutta la schiena. Soprattutto il FONDOschiena.
Le carrozze che io ricordo erano due: quella di Nicola1, tipica carrozza con cuscinetti, addirittura con cuscinetti di dietro più grandi quelli davanti e con il sedile. Sissignori, il sedile. Nicola1 era riuscito ad inchiodare delle tavole sulla parte posteriore della carrozza creando un sedile, ma non finiva qui: ad una parte esterna del sedile aveva messo una tavoletta con delle cerniere ed aveva quindi creato una specie di cassetto, chiuso rigorosamente con un lucchetto, cassetto nel quale riponeva attrezzi per la manutenzione d’emergenza della carrozza. Secondo me dalla carrozza di Nicola1 partì l’idea dell’assistenza in corsa della Parigi – Dakar. Ma questo lo sapremo solo dopo.
Nicola2, invece, mente fulgida e mai ferma, tipica normalmente degli ultimi figli, ma lui è il primo, aveva preparato una carrozza con delle ruote “espiantate” da un vecchio passeggino. Ruote che in questo momento credo solo Dio possa ricordare dove le trovò. E si gli attrezzi si dovevano trovare, comprarli non valeva, ma non ci avrebbero mai dato una lira per comprarli: “A che serve, che c’ha fa?”.
La carrozza di Nicola2 era una novità nel campo delle carrozze, mai si era sperimentata una tale ruota, ma sempre e solo cuscinetti.
La nostra “pista” era al discesa di casa, “pista talmente “gettonata” tanto che ho scoperto solo qualche anno fa che venivano dall’altra parte di Campobasso a “provare le macchine” sulla nostra discesa. Dunque la salita di casa, che normalmente maledicevamo quando dovevamo tornare a casa a piedi, nell’occasione del “Gran Premio della carrozza” era affrontata con grossa lena per fare qualche discesa in più.
La competizione tra i cuscinetti di Nicola1 e le ruote di passeggino di Nicola2, sull’asfalto in discesa non aveva storia. I cuscinetti erano molto più performanti. Ma l’asfalto era solo per i bambini “normali” noi non potevamo accontentarci e quindi ci “esibivamo” anche su una via brecciata vicino casa dei due Nicola. E fu proprio sulle brecce che Nicola2 vide coronato il suo sogno di vittoria.
Le ruote del passeggino, ovviamente più grandi dei cuscinetti a sfera, riuscivano a correre di più tra il brecciolino e quindi la partita fu pari e patta tra le due carrozze con due “motorizzazioni” diverse.
Onestamente non ricordo epiche cadute dalla carrozza a cuscinetti, ma ricordo solo l’utilizzo delle suole delle scarpe usate come freni con somma soddisfazione delle nostre mamme.
La “carrozza” non aveva tuttavia un uso solo ludico. Ricordo che dei signori ne avevano costruita una di dimensioni enormi che utilizzavano come mezzo di trasporto a trazione umana. Li avevo visti più volte in città tirare questa carrozza con sopra ogni cosa. L’ultima volta che li ho visti utilizzare la carrozza a trazione umana fu quando comprarono del vino da mio nonno. Caricarono le damigiane di vino sulla “carrozza” e si avviarono per la nostra cara ed amatissima discesa. Non avevano considerato che in discesa se si aumenta il peso la carrozza prende maggiore velocità. Per fare tutto il chilometro di discesa credo impiegarono circa due ore. Dopo quel “Camel Trophy” non li ho visti più utilizzare quel mezzo di trasporto a trazione umana.
Ho preso l’impegno con Nicola2 di scrivere delle nostre slitte, ma dobbiamo aspettare la stagione adatta.
Non so se è bello o brutto quando ci si ricorda del passato, comunque, sempre son affetto e stima, statevi arrivederci.
Franco di Biase