Le elezioni del 25 maggio, per il comune di Campobasso, avrebbero potuto e dovuto rappresentare un’occasione storica per aprire una fase politica e culturale del tutto nuova, una reale occasione di partecipazione e di cambiamento di prospettiva; sono, invece, diventate la riprova che questa politica, chiusa nell’egoismo dell’occupazione di posti di potere, avvinghiata ai privilegi, dedita ai facili proclami, soprattutto a livello locale e regionale, appare oggi irriformabile.
L’elemento caratterizzante di queste elezioni comunali è diventato il vuoto assoluto di progetto e di proposta delle forze politiche e degli schieramenti in campo. Non una riflessione aperta con i cittadini su un nuovo modello di sviluppo che superi quello incardinato sulla pubblica amministrazione e sulla spesa pubblica che hanno già subito, ed ancor di più subiranno, un drastico ridimensionamento a prescindere da chi governerà a Roma e a Campobasso.
Le poche idee espresse sul futuro del capoluogo regionale, in taluni casi, sono addirittura scopiazzate.
La politica non solo non ha lavorato per modificare radicalmente il corso delle cose, ma ha assestato un colpo mortale a chi aspira ad un vero cambiamento, alimentando l’idea di un futuro come inevitabile continuità del presente.
Alla luce del fallimento del Governo della città, soprattutto da parte delle forze progressiste era lecito aspettarsi la proposizione di una classe dirigente alternativa, nuova per storia personale, per coerenza del proprio pensiero e dei propri comportamenti, per sforzo progettuale e programmatico e soprattutto per impegno di resistenza e di rottura. Abbiamo invece, purtroppo, assistito all’ennesima truffa politica, all’apoteosi del trasformismo e del clientelismo, vero cancro della politica molisana.
In nome della primaria necessità di vincere ed ignorando la disastrosa esperienza della Regione, dove si continuano a nominare uomini di destra ( e di che spessore tecnico, politico e culturale! ) parenti, amici ed amici degli amici, il falso centrosinistra, ha candidato nelle sue liste dodici consiglieri comunali in carica, di destra, ben spalmati per agevolarne la rielezione. E come se non bastasse, una miriade di altri personaggi, di destra. La stessa scelta di far proliferare il numero di liste a sostegno del candidato sindaco, da un lato testimonia come sia stata metabolizzata la logica, tutt’altro che democratica, del controllo del voto e, dall’altro, la stridente contraddizione con le scelte nazionali tendenti alla semplificazione del sistema. In queste condizioni, le elezioni non hanno alcun connotato politico. A voler essere benevoli, sono una competizione per misurare chi ha la famiglia più numerosa. In realtà sono una sorta di mercato della vacche e si commentano da sole.
Il cosiddetto Polo Civico è di fatto un centrodestra mascherato.
Paradossalmente a prescindere dall’esito elettorale, la destra che ha disamministrato il Comune avrà più consiglieri di quanti ne ha avuto cinque anni fa.