Il Garante della privacy interviene sul sistema informatico di Poste Italiane S.p.A., un sistema che rendeva visibili i nomi degli operatori sul display luminoso collocato sopra e che le caratteristiche del sistema per la gestione delle attese, e il controllo penetrante che ne
consegue, non sono finalizzate alle esigenze “organizzative e produttive”, di sicurezza del
lavoro, di tutela del patrimonio aziendale, ammesse dalla normativa lavoristica.
Come sindacato – precisa il Segretario della CISL Poste Antonio D’Alessandro – avevamo
evidenziato al datore di lavoro che non aveva stipulato alcun specifico accordo sindacale in
merito con i Rappresentanti di lavoro e tantomeno informato gli RSU.
Il Garante, che ha accertato che le criticità del sistema adottato negli uffici postali per gestire la coda agli sportelli e non potrà essere più utilizzato perché può consentire, di fatto, anche il monitoraggio pervasivo e costante dei dipendenti. A nulla è valsa la difesa di Poste Italiane S.p.A., che nel corso dell’istruttoria, aveva
innanzitutto affermato che l’esposizione al pubblico del nome degli operatori, al pari dei
cartellini di riconoscimento apposti sulla divisa dei dipendenti, era funzionale a migliorare il
rapporto con gli utenti. Riguardo poi alle concrete modalità di funzionamento del sistema, e al
relativo trattamento dei dati personali, Poste aveva invece dichiarato di aver agito nel pieno
rispetto del Codice della privacy e della disciplina in materia di lavoro, dato che il sistema
adottato costituisce uno strumento aziendale nell’ambito della libertà di organizzazione del
lavoro. E aveva aggiunto di non essere tenuta a presentare un’apposita informativa ai
dipendenti in quanto i dati raccolti dal sistema non erano utilizzati per finalità connesse allo
svolgimento del rapporto di lavoro.
Nel provvedimento l’Autorità ha ribadito che deve sempre essere rilasciata un’informativa
completa ai dipendenti sul trattamento dei loro dati personali. La cosiddetta “console di
monitoraggio” con cui Poste gestiva il sistema, infatti, consentiva a oltre 12.000 soggetti
incaricati, con visibilità differenziata a livello nazionale e periferico, di accedere in tempo reale e in via continuativa, ai dati relativi a tutte le postazioni e a tutti gli operatori in servizio, in qualunque momento, presso un determinato ufficio. Tali dati potevano essere raccolti e memorizzati, anche sulla base di non ben specificate “anomalie”, e potevano essere estratti in report individuali.
Il Garante ha osservato inoltre che ai sensi della disciplina di settore, il sistema non poteva
configurarsi quale “strumento di lavoro” indispensabile per rendere la prestazione, potendo
consentire, anche indirettamente, il controllo a distanza del lavoratore. Per tale motivo Poste avrebbe dovuto adottare le specifiche garanzie previste dalla legge, tra cui l’apposito accordo da stipulare con le OO.SS.
Mentre per l’altro argomento riguardante la MIFID II, la riforma parte in maniera difettosa – riferisce Antonio D’Alessandro – perché non impedisce che i dipendenti possano essere
esercitate indebite pressioni commerciali e scarica in basso le responsabilità di legislatori che non vogliono regolare i mercati finanziari. Le criticità non sono state assolutamente rimosse nonostante gli obiettivi fossero la tutela dei risparmiatori e la trasparenza.
È necessario – conclude Antonio D’Alessandro – porre fine alla pratica attraverso la quale i
dipendenti prima sono vessati e costretti alle vendite e poi vengono accusati di aver operato in modo sleale nei confronti della clientela. Per realizzare ciò è necessario la presenza di esperti in Rappresentanza dei Lavoratori e delle istituzioni negli organi di adeguamento alle normative generali e a quelle di autoregolamentazione, evitando il rischio che i controlli siano totalmente subordinati alle volontà aziendali, così come è necessario obbligare Banche e Poste a mettere a disposizione dei clienti una solida formazione per l’educazione finanziaria.