Ciao Ada: con queste semplici parole vogliamo dire addio all’ultima custode della Campobassanità, fatta di sincerità e di attaccamento alle radici che oggi è raro trovare perché di campobassani doc ve ne sono veramente pochi, tant’è che si possono contare sulle dita di una sola mano. Depositaria di un qualcosa che va oltre la semplice conoscenza dei luoghi, Ada Trombetta ha rappresentato anzi rappresenta, perché non è andata via, ma si è solamente alzata dalla poltrona del suo elegantissimo salotto ricco di tradizione e di eleganza sobria, per accogliere chi è andata a trovarla cui non si può negare l’ingresso, la città giardino. Luogo tanto amato che, nei dagherrotipi del nonno, del padre Alfredo e del fratello Antonio, si può ancora ammirare nella collezione fotografica, anche se questa per la poca sensibilità dei cosiddetti perbenisti ben pensanti locali fa parte del preziosissimo patrimonio Alinari della gigliata Firenze.
Una presenza venuta meno in questo fine gennaio che permette di percorrere quello che è stato il vissuto di professoressa, preside ma principalmente studiosa dello spirito della città abbarbicata ai monti, del centro storico racchiuso nelle sei porte che ci parlano di un vissuto dove il forgiare le lame e gli attrezzi da lavoro era il cosiddetto leit-motiv quotidiano, degli ingegni del Di Zinno immortalati nelle prime foto d’epoca dal premiato studio Trombetta, delle contrade e di quel medioevo che si può leggere e vedere nelle pagine di un raro volume le cui fotografie bianco e nero testimoniano il Molise regalo di nozze ad una fanciulla di nobil casato, come direbbero i prosatori. Ricordi che affondano nella notte dei tempi di cui rimangono testimonianze non sempre salvaguardate. Conoscitrice del Molise e delle sue usanze, fin da ragazza ha raccolto tantissimi pezzi di questa terra come un immenso puzzle. Un quadro fatto di tasselli che fa del capoluogo di regione, ma anche di altri centri della regione, una fonte inesauribile di cultura. Un puzzle che in novantadue anni ha messo a disposizione di chi voleva conoscere quello che non è facile da comprendere se non si è radicati profondamente nel territorio. Vivace, arguta mai refrattaria ai confronti dove spesso per rendere l’idea si parlava in vernacolo, saggezza dei popoli, Ada Trombetta non si è mai negata con signorilità e simpatia alla comunità locale. La quale, sgomenta in questo fine gennaio ha accolto la notizia della sua scomparsa con compostezza, come quella che contraddistingueva lei il cui modus vivendi ha fatto si che intellettuali, storici, scrittori s’intrattenessero nel suo salotto in conversazioni aneddotiche. Non è facile raccontare quello che rappresenta per Campobasso perché le parole potrebbero essere una “diminutio” di quello che era, anzi è. Sempre pronta a raccogliere la sfida specialmente se questa riguardava i ricordi cittadini di cui era mattatrice indiscussa. Uno scontro che fa si che le radici dell’albero del sapere non sono state recise dalla falce del destino ma sono ancora più radicate in un qualcosa che è parte preponderante della città capoluogo della regione non cenerentola d’Italia ma scrigno di inestimabili tesori che Ada, consentiteci di chiamarla con affetto e commozione per nome, ha permesso di ammirare conservandone gelosamente il valore e soprattutto il significato puro senza alcun orpello altrimenti non sarebbe stato ben accetto nella casa di Corso Vittorio Emanuele al numero civico 3.
Massimo Dalla Torre