“C’era una volta Campobasso sotterranea…” Potrebbe essere questo l’inizio di una bella favola. Una favola che molti vorrebbero vivere di persona ma causa “antiche distonie” non è possibile, anche se da qualche anno è ripresa la visita grazie all’opera di studiosi e appassionati di storia locale che illustrano il passato della città dominata dai Monforte, fino ad arrivare ai tragici giorni della seconda guerra mondiale. Una situazione che ha del grottesco perché ancora una volta dobbiamo costatare che le iniziative che potrebbero attrarre turisti, interessi culturali, ma soprattutto risveglio economico è altalenate facendo sprofondare nell’oblio e nell’anonimato quello che è il capoluogo della ventesima regione d’Italia da molti appellata “sonnacchiosa”. Un aggettivo che ci sentiamo di avvallare specialmente se a farne le spese è la comunità cittadina che offre a chi arriva da fuori regione uno spaccato di storia che affonda le radici nella notte dei tempi. Di come Campobasso è abbandonata a stessa non c’è giorno che non se ne parli, specialmente perché è oggetto del “chiacchiericcio” che si rianima quando il protagonista è il centro storico. Un luogo che molti c’invidiano perché è la personificazione dell’animus dei Campobassani, quelli con la C maiuscola. I quali, sono sempre ben disposti a raccontare quello che è stato il passato tant’è a chi chiede con curiosità aneddoti legati alla parte antica della città, fanno si che le nebbie del tempo si diradino per rivitalizzare quello che è stato. Una riscoperta che si valorizzava soprattutto quando si scende nelle cantine scavate sotto i palazzi che sorgono lungo Via Cannavina, Largo San Leonardo, Via Ziccardi, Via Sant’Antonio Abate e zone limitrofe senza contare la cinta muraria prospiciente, i bastioni del castello Monforte. Un percorso affascinante che molti non conoscono perché si dipana in tanti rivoli, come un torrente che svanisce nelle viscere della terra. Una sorta di dedalo che porta a toccare con mano un mondo che si cela sotto i piedi. Un mondo fatto di storie, amori, disagio, soprusi, povertà, laboriosità, violenza e mistero. Tutte cose che solo si volesse, potrebbero essere il fil-rouge di visite che molti vorrebbero che riprendessero con frequenza e non saltuariamente per riscoprire le radici, la tradizione, la vita anche quella comune, ma che, causa, lo ripetiamo di prese di posizioni mascherate da problemi, chissà poi quali saranno questi problemi, valli a capire, ha visto negli anni addietro ancora una volta la politica e i suoi protagonisti fare la parte del leone, speriamo ora in gabbia. Un protagonismo che non giustifica la non accessibilità e fruibilità al patrimonio storico di Campobasso. Il quale, almeno che non ci sia una svolta, ora pare che ci sia, permetta di riprendere il viaggio nel tempo che non ha connotazione né politica né di parte, perché se così fosse nessuno sarebbe in grado di scrivere il finale della favola che ci ha ispirato a scrivere queste considerazioni, forse senza senso.
Massimo Dalla Torre