di Stefano Manocchio
Ho pensato un po’ prima di decidere di scrivere il mio ricordo di Gino Di Bartolomeo per due motivi: perché non volevo che il mio scritto potesse essere confuso con quello che in gergo viene definito il ‘coccodrillo’, cioè il necrologio, pieno di frasi di circostanza che generalmente si riserva alle autorità per un obbligo di comunicazione, ma soprattutto perché con la sua dipartita viene meno un’intera generazione di politici, che ho conosciuto e seguito per esigenze giornalistiche e questo è certamente un fatto che rattrista e non poco. Il mio ‘status’ di cronista esperto di politica non mi ha impedito di instaurare con l’ex-sindaco di Campobasso un rapporto diverso rispetto a quello tenuto con tutti gli altri politici: per me Di Bartolomeo non è stato, di volta in volta, il presidente della Regione Molise, della Provincia di Campobasso o il sindaco della città capoluogo e neanche il senatore della Repubblica, ma semplicemente ‘Gino’. E’ il politico che ho conosciuto per più tempo, con il quale ho scambiato un’infinità di volte i pareri, senza lesinare dissidi e divergenze di vedute, più che con qualunque altro; eppure è uno di quelli che ho intervistato meno , fatta eccezione per il periodo del suo mandato a Palazzo San Giorgio.
Sarebbero decine gli episodi, a partire da quelli lieti, che potrei raccontare e che rimarranno sempre impresi nella mia mente. E’ stato un politico per certi versi ‘anomalo’ per il Molise; così attaccato alla sua regione, ma soprattutto alla sua città da difenderla quando era indifendibile, al punto di non aver voluto ammettere ed assorbire la sconfitta di non essere riuscito a cambiarla. Con lui era tutto diverso, si parlava senza schemi e si riceveva risposte alle domande a volte sconcertanti, perché private di tutti i ‘filtri’ che di solito gli amministratori utilizzano nei rapporti con la stampa; viveva tra la gente ed era rimasto quello ‘alla mano’, che parlava con tutti e di tutto, dando spazio ad ognuno, sia nelle chiacchierate gioiose che nei litigi. Era ‘big Gino’ sempre uguale ed immodificabile; era così e basta, prendere o lasciare. Il Di Bartolomeo che voglio ricordare non è quello delle frasi celebri, come lo “stetev’ a la casa” in occasione delle grandi nevicate e neanche quello del “non ci sono neanche i soldi per un gelato'” con riferimento alla situazione delle casse comunali; è quello che chiedeva solo se aveva bisogno di sapere e che non negava un giudizio ogni volta che veniva richiesto, a chiunque. Era l’inquilino della porta accanto e tutti lo vedevano come ‘uno di loro’ semplicemente perché lo era; e questo fatto giustifica il senso di generale commozione che da ieri pervade la città
Nel periodo del suo mandato amministrativo a Palazzo San Giorgio non sono mancati i momenti di discussione e di dissidio per differenze anche grosse di vedute sulla sua attività; il Corso principale era il suo quartier generale e in un certo senso la mia seconda casa e le occasioni d’incontro sono state innumerevoli. Si fermava generalmente all’angolo della villa del Municipio e, a seconda di quello che avevo scritto, si discorreva allegramente o partiva la polemica; in questo secondo caso generalmente esordiva con “uagliò..” ed iniziava quella che era contemporaneamente la sua difesa ma anche l’attacco all’avversario, perché così era visto il giornalista quando metteva in dubbio quello che stava facendo per la città. Per questo motivo il Di Bartolomeo politico che preferisco è quello degli incarichi ‘deboli’, soprattutto il presidente del Consiglio provinciale, perché parlava di strategie e non di fatti, di eventi e non di persone; come consigliere comunale d’opposizione invece alla fine è stato anche troppo distaccato, credo anche sconfortato e deluso perché la politica non gli aveva permesso di fare per la città tutto quello che avrebbe voluto. In ogni caso anche nei momenti di maggior contrasto tra noi tutto finiva con un accenno di sorriso e a volte una pacca sulla spalla alla ‘Canavaciuolo’, ma decisamente più debole. Ciò secondo me perché sapevamo entrambi di avere la matrice comune dell’affetto verso la città, pur nella totale diversità di comportamento o di vedute.
Non voglio dilungarmi oltre e mi fermo prima che la tristezza possa prendere il sopravvento.
Ciao (big) Gino: riposa in pace.