Scherzando su Facebook ho annunciato che sarei sceso in campo, anch’io, con un partito tutto mio con il nome fantasioso di “Torero Camomillo” ovviamente è una provocazione fatta perché chi è sceso in campo ogni giorno,di più, provoca in me una tale repulsione che la prima sensazione sarebbe quella di chiudere gli occhi, tappare le orecchie ed evitare accuratamente le urne.
Poi tra te e te pensi a quanti questo diritto lo vorrebbero esprimere ma non possono ed allora ti autoconvinci che è necessario andare a votare e tra i tanti scegliere il meno peggio.
Nella prima parte di questa lunga campagna elettorale stiamo assistendo a uno spettacolo da Circo Barnum con una gara a chi la spara più grossa per ingraziarsi il farlocco di turno; fake news, tasse, pensioni, sicurezza, migranti, e pure canone Rai, si parla di tutto e del contrario di tutto, ma soprattutto di quel che si può promettere al maggior numero di elettori, soldi in tasca, tutti e subito, per invogliarli a votare per questo o per quel candidato, giusto o no, è legittimo e (fino a un certo punto) fisiologico.
Personalmente al di là dello scherzo non mi candido e di conseguenza non devo prendere voti, invece, avendone fatto oggetto di alcuni miei precedenti articoli, posso permettermi di parlare di alcuni problemi dimenticati dell’Italia,che qualche politico serio potrebbe appuntare sul suo taccuino.
Problemi che richiedono tempi lunghi e soluzioni complesse, che non hanno ricette facili e soprattutto rischiano di rimanere sullo stomaco a qualcuno.
Temi scovati nei rapporti di ricerca e nelle statistiche nazionali e continentali, da un diverso tipo di disoccupazione, al più grande degli sprechi italiani, da percorsi demografici che non tornano a strumenti di welfare che tutto dovrebbero essere fuorché irrisi.
A mio avviso, se tra i tanti pifferai magici che promettono il regno di bengodi ce n’è fosse uno che se ne volesse occupare davvero, avrebbe non solo il mio voto ma soprattutto avrebbe da lavorare per almeno tre legislature.
Il mio voto e spero quello di tanti lo prenderà chi questi problemi ne farà oggetto del programma del costituendo governo.
Il primo tema è il 40 (per cento) di disoccupazione giovanile italiana che non dipende dal ciclo economico, non è un affare banale, anzi è uno degli enigmi meglio custoditi d’Italia. Perché se le crisi non potevamo evitarla, o prenderla con filosofia, così non è per quella che gli economisti chiamano componente strutturale, che rimane lì pure quando le cose vanno bene. Per qualcuno, che va sempre bene, è colpa delle troppe tasse. Per altri, invece, è questione di scarsa corrispondenza tra università e studenti e della lunga, lunghissima transizione tra scuola e lavoro.
Secondo tema il calo di 65mila immatricolazioni universitarie tra il 2000 e il 2015,quello italiano è un trend che non trova corrispondenza in altri contesti, dove invece il sapere è la chiave di tutto. In Cina ci sono 8 milioni di laureati in più ogni anno. Otto. Milioni. E pure con preparazione ottima e voti altissimi. Da noi, nel nostro mondo all’incontrario, no., il sapere è qualcosa di inutile, da cui stare alla larga e non fa trovare lavoro. Pessimo segnale davvero con un trend fondamentale da invertire.
Il terzo tema è il 35 percento di lavoratori italiani impiegati in un settore non correlato ai propri studi ed è un numero che fa il paio con il 12% di lavoratori che sono sovraqualificati rispetto alla mansione che svolgono. Non sono numeri banali. Fare un lavoro diverso da quello per cui si è studiato può essere stimolante, ma solo se non diventa una necessità, o peggio ancora se non è figlio di una sotto qualificazione. In tal caso diventa un enorme fattore di frustrazione, abbastanza per comprare un biglietto di sola andata per un Paese straniero. O per decidere, di fronte a questa prospettiva, di smettere di studiare.
Il quarto tema è il più alto di tutti e rappresenta il più alto costo della sottoutilizzazione del capitale umano in Italia: quello femminile. L’ha calcolato Eurofund in un suo recente rapporto ed è pari a 88 miliardi di euro l’anno. Ah, curiosità: è il più alto in Europa, perché noi in Italia siamo quelli che il capitale umano femminile lo usiamo peggio di tutti. Perché lo consideriamo una riserva indiana, una quota da salvare, nel migliore dei casi, e non siamo ancora stati capaci di valorizzarlo al meglio nel nostro tessuto produttivo. Nè a livello di mansioni, né in relazione allo stipendio.
Il quinto tema è il numero di investimenti diretti esteri realizzati in Italia nel 2016 solo 89 molti di più rispetto al 2015. Molti di meno rispetto ai 1063 della Germania, nel medesimo anno. E forse è proprio quello che ci manca, in Italia, per trattenere i nostri cervelli in fuga e per mettere a valore il meglio del capitale umano che abbiamo formato: un bell’afflusso di imprese estere che portino tecnologia, innovazione, domanda di saperi qualificati. Domanda: qualcuno ha qualche idea su come fare? Pare che un fisco migliore, una giustizia più veloce, una ricerca universitaria di base molto ben finanziata aiutino, e una burocrazia snella ed efficiente aiutino, in questo senso.
Il sesto tema è l’età media dei dipendenti della pubblica amministrazione italiana, 48,1, quasi cinque mesi più alta rispetto al 2007, frutto di quel blocco del turnover, tanto necessario a tamponare la spesa pubblica, quanto suicida nel tarpare ogni velleità di innovare almeno un po’ la macchina pubblica. Ora, pare, ci sia una finestra per tornare ad assumere. Che facciamo? Continuiamo a metterci gli amici degli amici, senza cambiare il modello organizzativo, o decidiamo di mettere nella pancia del burosauro un po’ di giovani e brillanti esperti delle tecnologie digitali?
Ultimo tema ,non per importanza il reddito minimo garantito mensile di 1300 euro (circa che prende un lavoratore che ha perso la propria occupazione in Francia, Germania, Belgio, Austria, Regno Unito, Irlanda, assieme alle politiche attive e di formazione per aiutarlo a trovarne uno nuovo. Sono tutti Paesi che hanno un welfare meno costoso del nostro e un debito pubblico più basso del nostro. Sono tutti Paesi in cui non ci sono lavoratori ipergarantiti e lavoratori senza alcuna tutela, senza buchi nello Stato sociale, in cui ciascuno è tutelato. Sono tutti Paesi che hanno rispettato la direttiva europea del 1992 che imponeva una misura universale di sostegno al reddito agli Stati membri. Gli unici assenti siamo noi e la Grecia.
Alfredo Magnifico
In campagna elettorale potremo sentire cose sensate?
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